Malga florida - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Malga florida

Tutte le edizioni > Edizione08
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VIII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2003
Premio speciale
"Rosa d'Argento Manilla Bosi"

Malga Florida

di Gaetano Paolo Agnini - Desenzano (BS)



Sull'altipiano di Folgaria vi è una malga diversa, particolare, non per il nome o perché la casa sia una costruzione dissimile dalle altre o per il declivio fiorito che le dà nome, ma perché vi abitava la signora Lucia.
A circa mezz'ora di cammino dalla strada principale, per chi ha gambe buone naturalmente, si trova Malga Fiorida. Il nome sottintende la ricchezza floreale di quei prati d'alta montagna, dove il giallo si fonde con il rosso, si mescola poi con l'azzurro, s'intreccia quindi con il bianco e questa miliscellanea variopinta è ospitata in un tappeto verde, a tratti intenso, a tratti tenue. Sono i fiori, presenti in tante varietà diverse, a dare il nome alla malga. In quel casolare, circondato da prati e posto al limitare del bosco, abitava una donna, anziana, sola, ma che gli anni e la fatica non avevano né piegato, né scalfito. Lucia si presentava sull'uscio dell'abitazione con l'abito nero, con un fazzoletto pure nero che ricopriva il capo, ricamato con fiori variopinti come è costume nelle valli trentine. Quando poi giungeva qualche "foresto", la donna si agghindava con civetteria, indossando in gran fretta un grembiulone bianco ricamato, appeso, con cura, dietro la porta d'ingresso. Lucia aveva sempre, sul viso magro e aggrinzito, un sorriso sereno, che non lasciava trasparire le sofferenze patite nel corso degli anni. Pochi conoscevano la vera storia della sua vita, costellata soprattutto di dolore. Era rimasta sola ancor giovane ad accudire ai figli, il primo già nato e il secondo generato durante l'ultima licenza del marito. Ma lo sposo Giuseppe era morto colpito da una granata durante un attacco, nelle trincee negli ultimi scorci, non meno luttuosi, della Prima Guerra Mondiale. Era un alpino, era partito, con l'entusiasmo della giovinezza, lasciando la giovane moglie in attesa del secondo figlio. Lucia aveva appreso dai Carabinieri che salirono il sentiero verso la malga, accompagnati dal parroco, la terribile notizia, ma non si disperò. Quella sera attorno al fuoco, strinse a sé il figlio bambino, riunendo in un solo abbraccio la creatura che portava in grembo e quella già presente. Estrasse da un cassetto la fotografia dei coniuge e, come un altarino, la depose nel centro del tavolo. Di fronte a questa accese una candela, quella che usava nel piccolo candeliere per recarsi a letto. Portò il bambino con sé nel grande letto matrimoniale. Nella stanza accanto la fiammella tremula creava un'atmosfera mistica, ricordava la fiamma perenne di fronte al tabernacolo del Santissimo Corpo di Cristo. Rivisse l'incontro con il giovane uomo, il corteggiamento fatto di timidi sguardi, poi la richiesta coraggiosa al padre fino al piccolo corteo quando lei, sposa, incontrò Giuseppe trepidante sulla soglia della chiesa del paese. Il bimbo, chiamato Firmino per ricordare il nonno paterno, dormiva tranquillo al suo fianco. Lo accarezzò delicatamente per non svegliarlo, sfiorò con il palmo della mano anche quello che portava in grembo e sarebbe nato tra meno di un mese. Non dormì quella notte, non pianse, non si disperò. Vagava con i pensioni cercava di ricordare le cose belle e dolci di suo marito vivo.
Lucia era una donna forte. La forza maggiore le derivava dalla Fede in Dio e dalla sua volontà ferrea di non abdicare mai di fronte alle difficoltà. Partorì in casa, come era solito allora, anche il secondo figlio, assistita premurosamente dalle vicine. Il parroco le fece visita ed esclamò: "Questo bambino è benedetto dal Signore, più di ogni altro, è l'immagine vivente del padre !"e la domenica successiva il bimbo fu battezzato con il nome del padre: Giuseppe. Lei vide in quel pargolo i lineamenti del marito, gli stessi occhi azzurri che prendevano il colore dai ciuffetti di "nontiscordardime" che nascevano a lato del sentiero. Lucia, come era divenuto suo solito, ormai da quando il suo uomo era partito per la guerra, continuò a lavorare i campi. Solo per il taglio del fieno, poiché colui che falciava doveva assicurarsi sul pendio legandosi con una fune, chiese al giovane cugino Bepi un aiuto. Lucia aveva cura del pollaio, dove vi era un discreto numero di galline ed un bel gallo. Curava anche l'orto: era instancabile. Vendeva poi al mercato del paese le uova e i prodotti della terra, consegnava il latte alla latteria. Questo e la piccola pensione di vedova le permise di allevare i figli, di farli studiare. Firmino, dopo la quinta elementare, decise di aiutare la mamma: la vedeva sgobbare da mattina a sera e non ebbe coraggio di proseguire, anche solo per qualche anno, negli studi. Giuseppe al contrario poté andare a Rovereto, in casa della zia Luisa, per frequentare le scuole medie. Solo due anni dividevano i fratelli. Lucia quindi rimase con Firmino nella grande malga, l'altro figlio rientrava una volta al mese con la corriera che si inerpicava su per la stretta strada che sale fino al centro abitato di Folgaria.
I ragazzi divennero adulti. La madre quando entrambi erano a casa li osservava, notava le differenze tra l'uno e l'altro. Firmino che faceva il contadino era più pratico, sempre pronto, era ormai un uomo abile, saggio, capace e robusto. Giuseppe era più meticoloso, alla base di ogni sua azione vi era un ragionamento. A lui inoltre piaceva particolarmente leggere. Si iscrisse quindi poi, con il consenso della madre, alla scuola tecnica per geometri. Lucia aveva trasmesso ai figli la forza che deriva dalla speranza, aveva trasmesso la caparbietà, che unita alla Fede, aiuta gli uomini a superare gli ostacoli. Era felice, ora che i figli erano divenuti adulti che portassero con sé quell'ottimismo che viene costruito su solide basi educative. Firmino fu chiamato al servizio di leva, assegnato al corpo degli alpini, fu poi, al termine della ferma, congedato.
I fatti della politica a Malga Fiorida giungevano attutiti. Solo Giuseppe portava le notizie e il fervore che un certo signor Mussolini sapeva trasmettere in particolare alle giovani generazioni.
La signora Lucia e Firmino erano piuttosto scettici, soprattutto sui proclami di guerra e sulla superiorità dell'Italia, che si era alleata con la Germania, per avere un ruolo maggiore che avrebbe dovuto incidere sui destini del mondo. Cominciarono le discussioni in famiglia, anche se queste, proprio per il ruolo dolce di mediatrice della mamma Lucia, non assunsero mai toni accesi, ma si mantennero sempre nei limiti del rispetto. Un giorno Giuseppe giunse al paese di sorpresa, non aspettato. A tavola prese la parola dicendo: "Mi sono arruolato volontario negli alpini .... andrò alla scuola sottufficiali !" La madre lo guardò incredula, ma non seppe frapporre parola a quella decisione. Firmino invece osò dire, pur titubante, sapendo che la notizia avrebbe turbato la madre: "Ho sentito dagli amici in paese che lo Stato sta organizzando un corpo di spedizione per fare la guerra ! Anche il tuo compagno di scuola Bepi e Giovanni, il figlio dei Berti so che si sono arruolati volontari. " Lucia preparò, in silenzio, la solita valigia di cartone marrone mettendo degli indumenti per il figlio. Il giorno successivo Giuseppe partì, la madre lo accompagnò alla corriera che scendeva alla volta di Rovereto. Strinse il figlio al petto. Quel gesto le ricordò l'abbraccio al marito molti anni prima. Ebbe un presentimento. Prima di riprendere il sentiero che l'avrebbe condotta a casa, sostò in preghiera nella chiesa del paese. Ancora un presentimento: anche quando era partito il marito lei si era recata in quella chiesa e di fronte all'altare della Madonna, anche allora, aveva acceso un lume. Cacciò via i pensieri tristi e riprese il cammino di casa. passarono i giorni, Firmino lavorava alacremente i campi, aveva ampliato la coltivazione di ortaggi. Un giorno due carabinieri arrivarono trafelati alla malga. Lucia si allarmò. Guardava quegli uomini da dietro la tenda, il figlio firmò un documento che i militi gli porsero. Quando costoro si allontanarono, con il cuore in gola, lei sbucò fuori, chiedendo: "Firmino .... che notizie ci sono ?" "Mamma, è arrivata la cartolina precetto dal Distretto Militare anche per me, sono stato richiamato, devo andare!" Se da un lato la notizia la tranquillizzò (aveva pensato a Giuseppe), dall'altra disse tra sé che le veniva portato via anche quell'unico figlio rimasto. Lucia si andò ad informare dal prete: "Mio figlio è stato richiamato... ma già mio marito è morto in guerra e poi l'altro figlio è partito volontario .... non si può far niente ?" "Cara signora Lucia, rispose il parroco, penso proprio che non si possa far niente... Mussolini ha dichiarato guerra e si è alleato con la Germania ! Hanno bisogno di uomini per fare la guerra ... hanno bisogno di soldati, di baionette!" Il parroco disse quell'ultima frase in modo secco, quasi perentorio. Lucia, pensò tra sé, aveva ragione, era un'ingiustizia chiamare alle armi quei giovani e portare via a quella donna gli affetti e il sostentamento, ma non poteva dirlo e non lo disse. Lucia l'intuì.
Anche Firmino parli soldato. La mamma lo accompagnò alla corriera, ripete il rito, andò in chiesa ad accendere un altro cero alla Madonna.... come aveva fatto prima per il marito e poi per l'altro figlio. Stette molte ore in chiesa, curva, le mani sul volto, i capelli ingrigiti raccolti sotto lo scialle di tela nera. Non pregò, rimase in silenzio, attonita, non avrebbe voluto tornare sola nella casa sul monte. Il parroco si avvide della presenza della madre, la prese per un braccio dolcemente e l'accompagnò a casa, in silenzio. Passarono mesi e mesi, Lucia ricevette lettere dai vari fronti dove i figli erano stati mandati. Non importava che fronti fossero: era guerra, era un'altra guerra, "una manifestazione del diavolo" pensò, una nuova tragedia, distruttrice di uomini, come quella che l'aveva privata del marito. I suoi figli erano lontani proprio per un altro terribile evento. Nel giro di pochi mesi i Carabinieri salirono due volte verso Malga Fiorida. Ogni volta, già quando li vedeva in lontananza, la madre intuiva. Prima uno, poi l'altro. Lucia rimase sola, sola con i suoi ricordi, sola. Accendeva tre lumi di fronte alle fotografie: il marito, Firmino e Giuseppe. Nessuno sarebbe più tornato a Malga Fiorida. La vita parve continuare come prima. Lucia riprese il lavoro dell'orto, che dovette ridurre poiché non vi erano più le braccia forti del figlio, riprese, come anni prima, ad accudire il pollaio. Riprese a portare le uova e i prodotti della terra al mercato, per poter mantenere con decoro se stessa e la casa. Lucia spesso riceveva visite, il parroco si recava sovente a trovarla, un giorno venne anche la zia Luisa da Rovereto la quale portò con sé un grande e pesante valigione di libri di Giuseppe. Venne anche Bepi che era stato compagno di scuola prima e d'armi poi, le diede una fotografia scattata nella caserma prima di partire per il fronte. Le consegnò anche alcune fotografie sbiadite ed un libricino che conteneva delle note e dei pensieri. Tra gli appunti una breve, semplice, riflessione, vergata con mano malferma:
Perdonami mamma, ti ho fatta soffrire
sono partito, ti ho lasciata sola
tu tacesti alla mia partenza
tu, con il tuo silenzio, mi chiedesti di non andare
io non capii allora
qui sul campo di battaglia si continua a morire
devo tornare
devo ricambiare l'affetto e i sacrifici
Prego la Madonna, pregala anche tu per me, Mamma!
Ogni anno i fiori si rinnovavano, talvolta predominava il bianco, talvolta il rosso... il polline portato dal vento faceva prevalere gli uni sugli altri. Ma quella tavolozza, pur con toni più marcati degli uni o degli altri, era sempre variopinta. Poi in paese si cominciò a dire che Lucia per il dolore era uscita di senno: parlava agli animali ed ai fiori. Ma se la sua era follia, era una follia dolce, serena, liberatoria, che le aveva permesso di non cadere nella più cupa disperazione. La sua grande capacità di amare, il suo cuore colmo di affetto materno, non potevano chiudersi in un desolante rimpianto. Lucia trasfigurò la realtà che la circondava, la animò di voci e di colori. I suoi figli, tornati bambini, erano ancora e sempre con lei. Se un falco ruotava su nel cielo della malga in cerca di preda, lei identificava in quello lo sposo perduto e diceva: "Giuseppe, qui va tutto bene! Stai tranquillo!" A primavera la sua gioia era incontenibile. Parlava ai ranuncoli, dorati come i capelli di Firmino che il vento aveva scompigliato: "Firmino, sei spettinato !" Quando saliva ai pascoli alti, i rododendri in fiore per lei erano le bocche, impiastricciate di fragole e di lamponi, dei suoi bimbi che ne avevano fatto una scorpacciata nel bosco. Raccoglieva un anemone, leggermente rosato e lo accarezzava con dita leggere: era la gota del più piccolo! E le nigritelle le facevano sentire le voci puerili: "Mamma, senti che buon profumo, sembra quello delle caramelle!" "Mamma, sul prato, sono caduti pezzetti del manto della Madonna!" Erano fiorite le genziane. Ma i prediletti erano i "nontiscordardimé". Percorrendo il sentiero, durante la bella stagione si soffermava a guardare quei mazzetti di fiori cerulei che nascevano radi sul bordo del tratturo, quei fiori che le ricordavano gli occhi dei marito, di Firmino, di Giuseppe. Occhi che non avrebbero più potuto sorriderle direttamente, ma che lei ritrovava nei myosotis. I villeggianti che transitavano sul sentiero, vedendo quel luogo incantato si fermavano e spesso scambiavano, oltre al doveroso saluto, anche qualche parola con Lucia. Si stabiliva immediatamente un rapporto cordiale, poiché la donna, pur discreta, sapeva con poche parole dar fiducia e speranza a tutti, per il tempo capriccioso, per la lunghezza e la difficoltà dell'ascesa. Lucia era invecchiata, dimagrita, ma era sempre ben acconciata, linda e in particolare, come ai vecchi tempi, quando vedeva qualcuno apparire alla curva del sentiero correva a mettersi il grembiulone bianco, che fedele attendeva dietro la porta. Passarono gli anni Lucia diveniva sempre più luminosa, il nome di Lucia proprio le era adatto. I capelli divennero ancor più bianchi, il suo sorriso pur dolce, nascondeva sempre un filo di tristezza. Il parroco e il sindaco cominciarono a preoccuparsi: "Non si può lasciare sola, lassù nella malga, la Lucia per tutto l'inverno. Bisognerà fare qualche cosa!" concordavano. Ma nella realtà non si faceva nulla. Passò ancora un inverno e tornò ancora la primavera. Lucia continuava serena la vita fatta di sogni, poi un giorno non si recò alla messa, neanche quello successivo. La trovarono addormentata sul letto, con il grembiulone bianco indossato: stringeva al petto tre fotografie e un mazzolino di "nontiscordardime" e a Malga Fiorida i fiori tornarono ad essere semplicemente fiori.
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