La traccia dell'aquila - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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La traccia dell'aquila

Tutte le edizioni > Edizione16
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XVI EDIZIONE - Treviso, 6 gennaio 2011
Segnalato

La traccia dell'Aquila

di Giovanni Scanavacca - Lendinara (RO)



Mi imbattei in lui per caso.
Ero in un rifugio di montagna, uno di quelli più isolati e un po’ fuori dai percorsi del turismo di massa. La sua faccia faceva capolino da una vecchia foto e sembrava invitare a scegliere una panca sulla quale riposarsi. Mi sedetti e cominciai a guardare con più attenzione quella foto che non aveva nulla di differente da centinaia di altre foto di montanari in camicia a quadroni, cappello e foulard al collo. Unico particolare lo sguardo e la mano destra che indicava qualcosa.
Ero assorto nei miei pensieri quando mi si avvicinò una ragazza:
“Cosa le posso portare?” Chiese gentile facendomi ricordare che ero in un locale aperto al pubblico. Ordinai.
La ragazza tornò con la mia consumazione e mi fornì la prima spiegazione: “È il nonno. Ha costruito lui il rifugio. All’epoca lo presero per pazzo, ma lui non ci badò.”
“Capisco...” Risposi distratto.
“Forse non del tutto.” Rispose lei, ridendo: “Le sta succedendo qualcosa che qui capita spesso.”
“Cosa?”
“Quelli che si siedono là frequentemente vengono «presi» dalla foto. È un piccolo incantesimo.”
Il discorso si complicava o forse la ragazza non era del tutto normale...
“Nonna diceva che dipendeva dalla storia che stava dietro quella foto…”
Il ragionamento pareva avere una sua logica. Provai a darle corda: “Cosa mi dovrebbe raccontare?”
“Cosa vede là fuori?”
“Montagne.”
“Non sia banale! Lei sta guardando delle cime. Ognuna di esse ha un nome e una storia. La storia che le interessa, però, non è nessuna di quelle che sentirà raccontare dai montanari qua attorno...”
“Vada avanti.”
“Prima bisogna che lei legga questo.” E mi passò la fotocopia sgualcita e di un foglio di quaderno. Una grafia minuta riempiva le righe. I mille ghirigori davano conto del periodo storico forse più della data: 4 aprile 1916.
«Cara Elena, i riposi fra una azione e l’altra sono brevi, eppure qui, se non dormi, le ore non passano mai. Dormire? Qua si crolla di stanchezza, ma ci si risveglia quasi subito per via delle cannonate o della mitraglia.
Questo è un rifugio sicuro... dicono perché stiamo in una camera scavata nella roccia dai genieri con gli esplosivi.
C’è freddo qui per colpa del vento che entra da una presa d’aria e poi passa alle altre camere più profonde per uscire chissà dove. Mi sono chiesto il perché di un flusso simile e l’ho capito avvicinandomi alla feritoia che può diventare la postazione di un cecchino.
Si apre sulla parete: di fronte c’è il vuoto. Lo strapiombo sarà di cinquecento metri, forse più.
Ho freddo, ma non riesco a maledire colui che ha pensato di costruire quel pertugio perché è da lì che guardo il cielo tutte le notti che non sono di guardia. Mi corico supino vicino all’apertura e volo via con la mente quando voglio dimenticare questa stupida guerra.
Da qui pare di poter allungare una mano per cogliere una stella come si fa con le ciliegie mature.
Ieri notte non ho resistito e l’ho fatto e, miracolo, davvero una stella ho colto. Una stella alpina che se ne stava proprio sul bordo alto della feritoia. L’ho messa a seccare in mezzo all’unico libro che ho qui, la vecchia Bibbia che mi sono portato per i momenti di sconforto. Credo che te la regalerò il giorno del nostro matrimonio, se ci arriverò vivo.…»
Lo scritto si interrompeva e la lettera non pareva conclusa. Alzai gli occhi. La mia ospite mi fornì la spiegazione che aspettavo:
“Se lo chiedono tutti. Manca la conclusione. Nonno disse di non sapere che fine avesse fatto.”
Le feci un cenno e lei cominciò a narrare.
“Quella stella alpina fu davvero un regalo per nonna.” Disse Rossella, la mia ospite.
“Il giorno del matrimonio nonno gliela regalò e lei non se ne separò più per il resto dei suoi giorni. La foto che lei ha visto fu scattata il giorno dell’inaugurazione di questo rifugio e la posa del nonno non è casuale. Lui indicava spesso la cima dove aveva raccolto quella stella alpina e il fotografo immortalò proprio quel gesto.”
Lei continuò a raccontare la storia di un ex combattente che, passata la grande guerra, aveva deciso di stabilirsi in quota e aveva costruito quel rifugio per diventare, in seguito, una delle più stimate guide alpine. Quando lasciai il rifugio ebbi la sensazione di non conoscere per intero la storia, ma non se ne fece un problema.
Quel che non potevo sapere allora era che l’incantesimo al quale aveva alluso Rossella mi portò di nuovo sulle tracce di Francesco C., detto Checco, l’uomo del rifugio.
Forse tre mesi più tardi vidi il frammento di carta esposto in una teca in un museo della grande guerra e non ci feci caso, preso com’ero dai vecchi cimeli. Quando ritornai sui miei passi la mia attenzione fu attratta da quel foglio ingiallito che aveva qualcosa di familiare. Improvvisamente, lessi  – Elena - e l’aggancio mentale fu fatto. Chiesi di esaminare lo scritto con una luce migliore e capii di aver di fronte la parte mancante della lettera del nonno di Rossella.

«… misteriosi sono i disegni della provvidenza. Misteriose le ragioni che ci fanno vivere o morire.
Le linee sono vicine e su di esse giacciono i morti. Ha senso tutto ciò?
Guardo il cielo che dispiega la sua bellezza sopra il giusto e il peccatore e mi interrogo, ma non   trovo risposte.
Per non impazzire devo pensare ad altro e tu, Elena, sei il mio altro. Sei la pace alla quale anelo.
Sei la serenità che ora non ho.
In una parola sei l’amore.
Cosa sia questo sentimento non so.
Di esso so che prima di tutto è mistero.
E ciò è giusto perché ci rende simili a Dio.
Deve essere incomprensibile perché ciò che è veramente grande non può essere compreso del tutto.
Guardo in alto.
Le care stelle stanno scomparendo nella luce di un’alba che vorrei più serena della notte appena trascorsa.
Un ultimo sguardo prima di allontanarmi da questa feritoia.
Lassù un’aquila vola in cerchio, forse ha già adocchiato la sua preda... non si sa.
Misteriosa la traccia dell’aquila nel cielo come misterioso è l’amore.
Buon giorno, Elena.»
La cosa stupefacente o, se vogliamo, misteriosa era che Francesco C., in quella situazione, si fosse lasciato andare a considerazioni simili. Dovevo sapere qualcosa di più su di lui. Tornai al rifugio e importunai tutti quelli che potevano averlo conosciuto. Alla fine mi convinsi che quell’uomo che indicava le “sue” cime fosse speciale.
“Camminare in salita aiuta.” Diceva.
“Aiuta chi?” Era la domanda che ponevano tutti e la risposta era scontata quanto incomprensibile: “Tutti.”
Per capirne il senso bisognava conoscerlo bene, condividerne gli ideali e aver passato con lui almeno un paio di giorni in montagna. Lassù dove l’aria si fa fina e così trasparente da far parere l’orizzonte più prossimo di quanto non sia davvero, Francesco viveva. Là c’erano cime da rispettare e ammirare più che da scalare, c’erano passi da percorrere con cautela guadagnando ogni metro difendendosi dall’orgoglio che porta ad errori grossolani, ma anche dalla paura che paralizza. Sovrano da quelle parti era il silenzio o, almeno, quello che pareva tale all’orecchio poco allenato, ma che poteva svelare mille suoni e altrettanti rumori: un grido lontano, un’ape laboriosa, ma anche il soffio del vento in una gola, il ruzzolare a valle di un masso in un canalone o, d’inverno, il rombo della valanga. Quello era il mondo di Francesco che, improvvisamente, gli era toccato abbandonare per colpa di un ordine dato da sconosciuti per fini che gli sfuggivano. Francesco ubbidì, conobbe altre realtà, la pianura, il mare che gli sembrò diverso da come l’aveva immaginato e altri monti che gli parvero incapaci di gareggiare in bellezza con le “sue” montagne. Conobbe molti uomini che la guerra rivelò in tutti i loro pregi e i loro difetti.
Continuò a non capire i motivi per i quali era impossibile vivere in pace con i “nemici”.
Continuò a credere che tutti nascono liberi e che nessuno possa togliere ad altri la libertà.
Questo disse in ogni occasione a quelli con i quali discusse negli anni che seguirono la guerra. Molto altro disse ai figli affinché fossero capaci di pensare con la propria testa ragionando sulle idee per costruire relazioni vere con quelli che li circondavano.
Il suo momento arrivò nel mezzo di un’azione di soccorso in montagna.
Volò via discreto, come nulla fosse.
Lo trovarono con il sorriso di chi è consapevole di aver seminato e aspetta fiducioso il raccolto. Anche sapendo tutto ciò conservai l’impressione di non conoscere tutta la verità.
A poco valsero le rassicurazioni di Rossella.
Dovevo rassegnarmi, non c’era altro, Mi restava il fascino di quei luoghi. Il paesaggio, il passato, la gente mi erano rimasti dentro. Per questo decisi di scrivere una memoria di viaggio e la spedii a uno dei tanti siti Internet dedicati allo scopo, indicai il mio recapito e me ne dimenticai preso com’ero dal lavoro. Una settimana dopo trovai nella mia casella di posta un messaggio. Stavo quasi per cancellarlo come si fa per la corrispondenza indesiderata, ma all’ultimo lo aprii e, per la terza volta, incrociai la storia di Francesco C.
«Quando lessi il suo memoriale di viaggio fui colpito dalla descrizione di una guida alpina che, negli anni fra le due guerre, eresse un rifugio. Il soprannome mi risulta familiare, molto familiare per cui, la prego di mettersi in contatto con me.»
Ci fu uno scambio di posta dal quale venne fuori la storia che riporto così come me la trasmise Giuseppe Filiberti,  il mio corrispondente.
«Poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale in Europa si scatenò una lucida follia. Quando i miei genitori capirono che sarebbe iniziata una persecuzione per quelli come noi provarono a verificare se fosse possibile espatriare, ma la cosa risultava assai difficile. Mille cavilli burocratici rendevano impossibile sbrigare in fretta le formalità necessarie. E la guerra scoppiò. La nostra meta era l’America dove c’erano dei parenti che ci avrebbero potuto ospitare e aiutare, ma raggiungerli pareva impossibile. - Dalla Francia sarebbe tutto più semplice.- Disse un tale a mio padre. Peccato che, anche la Francia, pur vicina, fosse per noi irraggiungibile. Non seppi mai come mio padre avesse fatto a conoscere Checco. So solo che un giorno partimmo da casa con delle valigie molto pesanti e salimmo in montagna dove trovammo la nostra guida.
“Non avrete armi, spero.” Ci disse subito. Alla risposta negativa di mio padre arrivò la sua spiegazione. “Se ci beccano è già quasi impossibile giustificarsi da disarmati, se ci trovano con la più piccola arma ci fucilano.”
Non ci furono altri discorsi.
Partimmo fidandoci ciecamente della nostra guida.
Il nostro fu un viaggio che oggi sarebbe il fiore all’occhiello di qualsiasi agenzia viaggi. Camminammo per sentieri scoscesi per giorni. A metà percorso ci fu un imprevisto: mio fratello scivolò e cadde in un crepaccio. La faccenda era seria e Edoardo non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto di Checco. In silenzio si calò di sotto usando la corda e i pochi attrezzi che si era portato dietro, poi lo tirò su, ma non era finita: Edoardo si era fratturato una gamba.
“Bisogna andare a cercare soccorsi.” Disse mio padre: “Lo dobbiamo portare all’ospedale più vicino.” Checco lo guardò storto: “Bravo! Per far sapere a tutti che volete passare il confine? E poi l’ospedale più vicino è a tre giorni di cammino.”
“Allora?”
“Bisogna andare avanti per forza! Tu porterai il mio zaino e io tuo figlio. Andremo più piano, ma andremo avanti. O ci si salva tutti o nessuno. Non c’è alternativa. Fu così che per giorni e per buona parte delle notti andammo avanti, Checco in testa con Edoardo al posto dello zaino. Alla fine, di colpo, si fermò:
“La Svizzera è qui. Siamo in territorio svizzero da almeno tre ore.” Si rivolse a mio padre: “C’è una discesa abbastanza dolce da fare. Ora ti passerò tuo figlio e scenderete fino a valle. Io non posso andar oltre per non farmi riconoscere. Rivolgetevi a questo indirizzo, vi aiuteranno anche a raggiungere la Francia.
Mio padre, a quel punto, gli chiese: “Scusa, ma per tutto questo, qual è il tuo compenso?”
Checco lo guardò: “Vai! Andate! Non parlo mai di soldi in montagna. La mia ricompensa è sapervi in salvo. Ci sono stati già troppi morti da queste parti. Andate, prima che sia tardi, il tramonto è vicino e voi avete bisogno di vedere bene dove mettete i piedi.”
Mia madre piangeva.
Quando ci voltammo per un ultimo sguardo lui era già scomparso nella foresta. Tre ore dopo eravamo al sicuro. Di là, quando Edoardo si fu rimesso, passammo in Francia e, finalmente, partimmo per l’America. Di Checco non avemmo più notizie, se non anni dopo da parte di altri che avevano fatto il nostro stesso percorso, ma nessuno riuscì mai a ritrovarlo, neppure a guerra finita.»
Finalmente avevo trovato il particolare che mancava alla storia. Ora sapevo davvero chi era Francesco C. Al mio corrispondente risposi fornendo i dati che gli servivano per permettergli di tornare sui luoghi delle vicende che narrava.
Su Checco fornii poche informazioni: “La persona della quale si parla ora cammina su altri sentieri. La sua vicenda umana si è conclusa. Da quanto so non ebbe mai a vantarsi per l’impresa compiuta salvando voi né per le altre che suppongo essere molte.
Il rifugio è ancora là, costruito pietra su pietra vincendo i pregiudizi prima che la gravità. In quella casa fondata sulla roccia delle montagne troverete tutte le informazioni che volete su Francesco C., l’uomo che ha fondato sulla roccia dell’altruismo e dell’abnegazione la sua vita.
C’è là una foto.
Osservatela con attenzione.
In quella foto il vostro Checco indica un punto in alto dalla parte delle cime. Guardate bene e fate delle prove: non indica nessuna vetta, ma un punto a mezz’aria sopra la più alta. Non è un caso. Quell’uomo faceva parte della ristretta cerchia di coloro che ambiscono al cielo più che alla terra. Saliva in vetta per avvicinarglisi.
Ho la certezza che il giorno nel quale ha chiuso gli occhi a questa vita qualcuno abbia potuto vederlo salire con passo lento, ma deciso il sentiero che si è aperto nel cielo sopra le sue cime. A fargli da guida un’aquila che, finalmente, gli ha mostrato la sua traccia nel cielo infinito.”
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