La scelta di Tone - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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La scelta di Tone

Tutte le edizioni > Edizione15
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XV EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2010
Segnalato

La scelta di Tone

di Pieraugusto De Pin - Arcade (TV)



Tone si inerpicava ansimando, come ogni mattina,  per l'erto sentiero che tagliava il bosco sopra Palafavera. Metteva un piede dietro l'altro, asciugandosi di tanto in tanto la fronte imperlata di sudore e snocciolava tra sé certe strane imprecazioni, inesprimibili per chi volesse ripeterle, che non sapevano né di italiano né di ladino, ma seguivano una precisa sintassi montanara.
“Sfondradi... varda qua... butilie de plastica...latine de bira...fazoleti de carta; l'è deventà un emporio de schifeze 'sto posto. L'era un dei più bei boschi del zoldan. Uff! Sta zente de pianura...che 'l diaul se li porte tuti, i vol vegner in montagna a ciapà le arie...Ah! E noi sa far altro che sporcà da partut. Gnaca pi' un fongo no se vede, na stela alpina, na genzianela. I a ciapà la montagna par un supermercato discount, tuto usa e geta. Orco! Speta che ghen ciape un de quei saladi...ghe insegnarò mi la creanza...Uff! E dopo i se lamenta de la puza della cacca di mucca. Me par de vèderli 'sti bambini dei condomini: -mamy, ma che odore, è pieno di mosche qui!-”... E giù un'altra sequenza di imprecazioni inesprimibili, a cadenzare il passo sicuro di chi ha nelle gambe la consapevolezza della fatica e sa dosare lo sforzo per arrivare a baita. Settant'anni era una bella età secondo il Tone, per fare quello che voleva: alzarsi quando gli girava, faticare se era proprio necessario, guardarsi, ogni mattina, seduto fuori dalla sua malga, il panorama di quella valle antica come il mondo; sentirsi, insomma, il padrone di quel posto ameno e solitario. Per questo gli piaceva di più la stagione invernale, quando non c'era quasi nessuno per i boschi; così poteva appostarsi per ore, indisturbato, ad osservare i piccoli branchi di cervi in cerca di cibo in qualche anfratto dove la neve era meno spessa e lasciava spazio a qualche ciuffo d'erba.
“Finalmente!”. A forza di imprecare era giunto quasi in cima all'erta, là dove il sentiero che sale incrocia l'alta via numero1 che a destra porta al rifugio Venezia, a sinistra al Città di Fiume.
-Ancora qualche metro e potrò liberarmi la vescica- pensava il Tone. La salita e l'aria frizzante del mattino gli avevano indotto un forte stimolo ad orinare. -Cosa c'è di più liberante e trasgressivo di una bella pisciata in quota? - ragionava tra sé-. Alla malga mancava ancora mezz'ora e suo figlio aspettava il pane fresco che il fornaio di Fusine gli aveva riversato nello zaino. C'era tutto il tempo -disse tra sé-.
Stava dunque con le mani alla patta dei pantaloni alla zuava quando un grido lacerò l'aria, un urlo straziante, come di persona che precipita...E poi... dei lamenti, a intervalli regolari. Venivano da poco sopra, dal ghiaione ai piedi del Pelmetto. Sicuramente qualche turista inesperto si era cacciato nei guai. -La montagna ha le sue regole, non è luogo per venire a far footing -pensò, nella convulsione istintiva che lo stava facendo correre nella direzione dei lamenti. Sembrava un camoscio imbizzarrito da come balzellava tra i massi. Saliva in fretta a zig zag attraverso i pini mughi fino alle prime rocce, e poi più su...I suoi occhi vivaci perlustravano palmo a palmo la parete rocciosa in cerca della fonte del mugolio lamentoso.
Ad un tratto, scorse sul ghiaione una sagoma che si muoveva appena. Era la fonte del sinistro lamento! E, su di essa, un bambino proteso, pallido come un cencio, con lo sguardo perso nel vuoto, in stato di choc. Tone, in men che non si dica, fu accanto ai due. Riconobbe in quello sdraiato il padre del ragazzo rannicchiato in preda a spasmi; poteva avere quarant'anni. Non era caduto dalle rocce, non sanguinava, non era ferito...Ma aveva le labbra cianotiche, respirava a stento, il suo polso era quasi assente. -un infarto, ecco cos'era- pensò. Adesso cosa fare? Cercò di rimanere padrone della sua testa. Non gli era mai toccata una cosa simile in settant'anni, al massimo aveva aiutato mucche e pecore a partorire o aveva fasciato la zampa ad un cervo ferito, ma infarti mai...
Trasse dallo zaino la fiaschetta dell'acquavite e l'accostò alla bocca del malcapitato, facendogli scivolare in gola un sorso del liquore. -Dicono che la mia grappa al ginepro faccia resuscitare i morti-  disse, e, rivolto al ragazzo: “non temere, ora papà si riprende”... E ritornò a snocciolare le sue strane imprecazioni a mo' di giaculatoria, dal momento che le preghiere se l'era dimenticate da tanto. “Santa Madona” - ripeteva- mentre reggeva il capo pressoché inerte dell'uomo che giaceva ancora rannicchiato. Il ragazzo ora piangeva disperato chiamando: “papà, papà...non morire ti prego...”
Il Tone cercò affannosamente nelle tasche dell'uomo  se ci fosse un cellulare. -questi turisti ne hanno sempre anche più di uno in tasca...- Dio fece che lo trovò e compose con mano tremante il numero 118. Ottenuta la linea, urlava nell'apparecchio: “Mandate l'elicottero, presto...sopra Palafavera, ai piedi del Pelmetto...C'è un uomo colto da probabile infarto...fate presto vi supplico”. Tone bevve un sorso di acquavite, per farsi coraggio, e rifiatò. Poi cercò di sollevare le gambe del malcapitato che ormai non si lamentava più e sembrava essere scivolato nella valle dei morti. Nello stesso tempo rassicurava il ragazzo: “Non aver paura figliolo, l'elicottero arriva subito. Te lo salvano il tuo papà...Stai tranquillo. I dottori sono magici al giorno d'oggi, sono super attrezzati. Bevi anche tu un sorso di questa medicina”. E avvicinò la bottiglia della grappa alla bocca del ragazzo che, sentitone l'odore, serrò i denti rimettendosi a strillare.
L'elisoccorso fu sopra di loro in dieci minuti. Dall'elicottero, che stava sospeso a mezz'aria, in posizione statica, per mancanza di spazio di atterraggio, scesero col verricello tre soccorritori: un medico e due infermieri che avviarono istantaneamente le procedure di rianimazione  e imbragarono il ferito issandolo a bordo. “Accompagni il ragazzo a Palafavera e cerchi di verificare se ha altri parenti in zona” fu tutto quello che si sentì dire Tone dai sanitari -noi faremo tutto il possibile per salvare questo signore-. E l'elicottero riprese il volo, e ben presto sparì dalla loro vista.
Il Tone si ritrovò, da solo, a tu per tu col ragazzo che gridava disperato: “dove me l'avete portato? Voglio andare da papà...Nooo...Voglio il mio papà...”
Allora lo prese per un braccio, lasciandogli sfogare la sua angoscia, e lo trascinò con sé tra le rocce, lungo il ghiaione, fin sul sentiero dell'alta via in direzione della malga. “Sù, calmati, vedrai che i bravi dottori i ti ridaranno tuo papà sano e salvo. Intanto noi andiamo a fare un bel giro su in malga. Ti farò vedere le mucche, le capre, i cavalli; ti darò pane e formaggio...Ti farò assaggiare la ricotta... Avviseremo per telefono tua mamma giù al campeggio, le diremo che stai con me per qualche ora. E' inutile che andiamo giù adesso, tanto non potremmo fare niente di utile” disse Tone al ragazzo.  Per tutta risposta ricevette calci, pugni e male parole: “brutto vecchio pazzo, non voglio venire con te, voglio andare da mio padre, hai capito?; lasciami subito o te ne pentirai! Lo dirò alla mamma che mi hai sequestrato, lo dirò alla polizia. Lasciami andare!...”. Ma, Tone, strinse ancora di più il braccio del ragazzo, fino a fargli male: “sbarbatel insolente che no te se altro, te insegne mi a rispetar i veci. Podaria eser to nono, sastu? Elo cussì che se ringrazia chi che te fa del ben? Te ho dit che l'è inutile 'ndar zo ades e che to pare l'è in bone man. Dunque finisela de urlar e ritorna en ti”. Di fronte a tanta risolutezza, a quell'affetto ruvido ma sincero il ragazzo, che fino a quel momento non aveva un nome, si acquietò e seguì a malincuore il pastore.
-Come ti chiami ragazzo?- gli domandò Tone dopo un po' che camminavano verso la malga. -Franco, mi chiamo Franco -rispose lui, a denti stretti. -E quanti anni hai Franco?- riprese il malgaro, che stava facendo breccia nel suo mutismo addolorato. -Dieci anni, appena compiuti...E tu, come ti chiami, vecchio?- rispose Franco lasciando Tone piacevolmente sorpreso per l'improvvisa apertura, tanto da fargli provare affetto per lo sventurato. -Mi chiamo Antonio, detto Tone... Ho settant'anni suonati...Sono vedovo da venti... Ho tre bei nipotini, e non mi sento per niente vecchio. Sono ancora capace di fare questa salita due volte al giorno in mezz'oretta, senza schiattare. Son tanti giorni che sei qui in montagna?- rilanciò Tone, nell'intento di ampliare il discorso. -No, sono arrivato ieri sera al campeggio con i miei genitori, e stamattina ho chiesto a papà se mi portava a vedere le impronte dei dinosauri al Pelmetto; mi piacciono i fossili e lassù ce ne sono in quantità. Stava benissimo quando siamo partiti. Non capisco cosa gli sia successo durante la salita-. Il ragazzo, ora che lo choc si era attenuato, sentiva il bisogno di parlare, per sfogare la sua  angoscia e recuperare fiducia. -Te lo spiego io cosa è successo- gli disse  pronto Tone, approfittando dello spiraglio comunicativo che si era aperto tra loro. -Tuo padre ha ignorato una regola fondamentale della montagna, non si prende mai di petto una salita ripida. Ha voluto strafare, e il suo cuore gli ha protestato. Ma sono cose che si risolvono! Ne ho visti ancora di questi casi -continuò mentendo il buon Tone- che si sono risolti con qualche giorno di riposo e un po' di medicine! E poi, ci sono delle belle infermiere giù a Belluno che lo faranno sicuramente risuscitare. “Ti voglio credere, Tone, in fondo potresti ben essere mio nonno; ma io ce l'ho già un nonno che si chiama Bepi, e i nonni non mentono mai ai nipoti...vero?
Il dialogo si fece fluido e, in men che non si dica arrivarono alla malga. Là trovarono Alfredo, il figlio maggiore di Tone che, a cavallo di Luky, stava “girando” le bestie che andavano sparpagliandosi al pascolo, con l'aiuto dei fidi Black e Lassie due pastori maremmani, obbedienti agli ordini fischiati dal loro padrone.
“Pare, dove sestu stà, no te rivave più; veo paura che te fusse sucess qualcosa”. “Ma scherzetu? -gli fece eco Tone- Ho la pel dura pì de la toa. Inveze, ho avesto na disaventura vegnendo in su...te savése! Vedestu sto fiol qua...” e giù a raccontare fin nei dettagli dell'infarto del turista e del suo recupero da parte dei soccorritori. “lo tengo con  me fino a stasera, intanto si distrae, perchè ha passato dei brutti momenti. Pi tardi lo portiamo al campeggio, dalla mamma, con la jeep”.
Intanto Franco si era tranquillizzato, seguiva come un'ombra il Tone che gli faceva accarezzare i vitellini nati nella notte mentre poppavano dalle madri, gli indicava il falco in volo che proiettava la sua ombra sulla parete nord del maestoso Pelmo, gli faceva assaggiare il formaggio appena fatto e il burro fresco, spalmato sul pane. “Se vuoi -gli disse- quando tuo padre starà bene, ti porterò in vetta a questa signora montagna. C'è un bel passaggio, assai impegnativo, che ti voglio far fare: la cengia di Ball, con il mitico passo del gatto; poi il ghiaione, il nevaio, la cresta e la croce: 3200 metri di montagna!. Da sopra, se c'è bel tempo, potrai ammirare un paesaggio da favola e ti renderai conto di quanto rispetto meritino questi portenti della natura che sono qui da milioni di anni. Noi ce ne andiamo, ma loro restano”. Tone condusse il ragazzo al ruscello dove poterono dissetarsi all'acqua limpida e gelata che scendeva direttamente dal nevaio, ammirare il viola intenso delle genziane in fiore e le morbide stelle alpine appena sbocciate. “Senti che pace c'è qui, ragazzo, riempiti gli occhi del verde dei prati e le orecchie dei rumori impercettibili del sottobosco. Qui si capisce più che a scuola, più che in mezzo al traffico convulso della tua città cosa sia vivere! La vita qui è natura, e la natura è vita. Bisogna imparare a rispettarla, ha le sue leggi che sono scritte in ogni cosa che vedi ”. Il ragazzo non fiatava, non si ribellava più, non protestava, sentiva scendere nell'animo la pace come un balsamo lenitivo, una pace mai sperimentata in vita sua, neanche quando mamma lo cullava tra le braccia per farlo addormentare. Il vecchio aveva toccato in lui le corde del cuore che la convulsione della vita di città avevano reso atone; Tone aveva dovuto decidere, fin da ragazzo: se andarsene dal borgo natio, lontano dai boschi della sua valle verso i luoghi dell'emigrazione dove tutto ciò che si toccava poteva trasformarsi in oro oppure rimanere fra le montagne seguendo il ritmo della natura, le sue leggi di vita, il suo incedere essenziale, privo di bisogni indotti e avidità di ricchezza; e aveva scelto i suoi boschi, la sua stalla, gli animali e quel poco di umanità necessaria a mantenere vivo il calore del cuore. Ed ora era contento. Anche i suoi figli avevano fatto le loro scelte di vita: Anna era andata sposa ad un operaio a Belluno, Lorenzo era andato in Germania ad aprire una gelateria e non era mai più ritornato a casa, mentre Alfredo era rimasto con lui a governare gli animali e faceva vita dura ma libera e naturale.
Il ragazzo gli si strinse istintivamente al collo e abbracciò quel vecchio bizzarro in cui aveva ritrovato la sua casa interiore. “Se mio papà starà bene sarà per merito tuo. E io tornerò ogni anno da te per ascoltare i tuoi insegnamenti. Sei il miglior “nonno” del mondo!”
Era come se il tempo si fosse fermato, come se i due fossero stati proiettati in un'altra dimensione, nella quale prevalevano le ragioni del cuore su quelle del cervello o delle convenzioni. Era come se il tempo si fosse dilatato e ciascuno dei due rivivesse ere primordiali, scevre dalla complessità del tempo convenzionale, come proiettati dentro a scenari incorrotti dell'anima che vive l'amore allo stato puro.
“Papà è ora di portare il ragazzo da sua mamma”. La voce di Alfredo riportò il vecchio e il ragazzo alla realtà e, insieme salirono sul pick up già in moto. Alfredo li condusse giù per la mulattiera, tra i prati e i pascoli fioriti, fino a Zoppè. Poi presero la statale della Val Zoldana, in direzione Passo Staulanza. Sul Piazzale di Palafavera si era radunata una piccola folla in attesa, da cui usciva una donna esile, con il volto rigato di lacrime e le braccia tese. Franco saltò giù dal pick-up e le corse incontro.
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