Il ringhio della montagna - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Il ringhio della montagna

Tutte le edizioni > Edizione15
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XV EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2010
Premio speciale
"Trofeo Cav. Ugo Bettiol"

Il ringhio della montagna

di Iosetta Mazzari - Vigonza (PD)



Alta. Bella. Con le curve morbide.
La conosceva da una vita ma gli riservava ancora sorprese.
Gli amici lo avevano avvisato: "Parli della montagna come di una bella donna." e Silvio sorrideva.
Davvero, era stato innamorato della sua montagna.
Gli piaceva come brillava d'inverno sotto la luna e come faceva ombra d'estate, rivolta a sud ovest.
Era cresciuto in una stanza che si affacciava alle sue pendici, era la prima cosa che vedeva al mattino e il posto dove riposare lo sguardo stanco di libri.
Amava le sorgenti che sgorgavano nel segreto delle forre. Amava il sapore asprigno dei funghi che spuntavano accanto alle chiazze di neve. Amava il profumo dei narcisetti raccolti a [me maggio per la festa del paese.
Credeva di conoscere la sua montagna: incastrata tra La Maiella e il Gran Sasso, non era cercata dai turisti e non era stata addomesticata per i loro comodi: niente baite, niente piste da sci, niente bancarelle di souvenir.
Una montagna dove andare da solo per riflettere, dove portare la ragazza per smarrirsi nel paesaggio e nel suo sorriso, dove condividere con gli amici momenti di serenità.
Poi la notte maledetta. Il terremoto del 6 Aprile.
La montagna nera che tremava e sussultava contro il cielo scuro.
Le urla e la polvere.
Il sangue e le macerie.
Il sollievo di trovarsi vivi e l'angoscia di non sapere dove andare.
La prima alba e il freddo umido contro il pigiama.
Gli occhi di Guido che fuggivano il viso dei figli perché aveva pianto davanti a loro.
La polvere che seccava la gola e il freddo che faceva accapponare la pelle. Una coperta? No, grazie. Datela ai vecchi. Un tè caldo? No, prima ai bambini.
Lo schianto delle tegole ad ogni nuovo fremito della montagna traditrice.
Le telefonate. Dio, ti ringrazio, ho il cellulare carico e non devo misurare le parole.
- Come stiamo qui in paese? Vivi, ma a pezzi nel fisico e nel cuore.
A Ovest spavento ma pochi danni. A est c'era L'Aquila.
L'Aquila: decine di amici all'Università, decine di parenti che ci lavoravano.
Enrico era di turno all'ospedale, si è salvato. Non sa quando potrà tornare: troppo lavoro. Qualcuno pensi ai suoi vecchi.
Antonio non risponde: lui il cellulare lo lascia sempre in camera.
Elena era andata a dormire in auto dopo la scossa delle undici. La solita fifona. Le sono rimasti solo gli abiti che indossava ma nessuno l'ha sentita lamentarsi. Ha organizzato i soccorsi di tutto il quartiere, la sua Elena, e non è mai stata così bella come adesso che è sfinita dalla fatica e dalla paura.
Antonio non risponde e non ha chiamato nessuno, qualcuno ha il numero dei suoi genitori?
Di giorno il sole scotta la pelle, la polvere impasta il sudore. Di notte il freddo fa battere i denti.
Francesco piange perché vuole andare a scuola: doveva decorare l'uovo sodo e imparare la poesiola da recitare a Pasqua.
Marta è rimasta vedova tre mesi fa, a soli quarant'anni, con una figlia ancora al liceo. Non osa rientrare nella casa lesionata e si offre Silvio, dovrà prendere le coperte e, imbarazzatissimo, il pacco degli assorbenti.
La montagna freme e ondeggia ancora, per l'ennesima volta. Marta soffoca i singhiozzi. Francesco nasconde sotto una coperta i pantaloni bagnati. Silvio esce di corsa dalla casa lesionata, tossendo per la polvere.
Antonio non risponderà più. Elena lo ha riconosciuto tra 1 cadaveri di un improvvisato obitorio.
La neve sopra la montagna non brilla più: ricorda il freddo che morderà ogni notte. L'ombra del pomeriggio non porta ristoro: toglie preziosi minuti di tepore. La montagna non è più amica ma indifferente regina sopra l'angoscia degli uomini.
Poi peggio. Pareva impossibile ma riesce ad andare peggio.
Succede dopo un paio di settimane dalla grande scossa, quando l'epicentro si sposta da Colle di Roio e va sotto la montagna, sotto il paese, sotto di loro.
Sotto la montagna ci sono frane che hanno visto passare i secoli. Le frane hanno addolcito i fianchi scoscesi della montagna. Il paese è costruito sopra antiche frane, tanto profonde che ormai si conoscono solo dagli studi dei geologi.
La vibrazione delle scosse si infila tra gli antichi sassi e risuona cupa. La montagna sembra urlare, ruggire, contorcersi ad ogni nuova scossa. Anche con i piccoli movimenti tellurici che, se ti stai muovendo, non li avverti. Anche di notte, quando il sonno nasconde le vibrazioni meno importanti.
Il rumore cresce piano: comincia come un tuono lontano, ma non viene dal cielo, poi prende forza e ti avvolge, è dappertutto, è tutto: niente canti di uccelli, niente mormorii di voci, solo l'urlo della montagna e il silenzio del mondo. Tace all'improvviso e il silenzio è totale: si aspetta. Per interminabili, immobili istanti si stringono i denti aspettando la scossa. Nessuno parla per non imporre al vicino la propria pena. Anche le bestie aspettano in silenzio.
Poi la scossa. Qualche volta un breve singhiozzo della terra, qualche volta una scrollata dolorosa che rinnova gli incubi e la pena. Qualche volta è tanto lunga e forte da temere che si ripeta la rovina del 6 Aprile e si prega che ci siano risparmiati altri feriti e altri lutti.
Silvio pensa che il rumore è la peggiore tortura che la montagna può infliggere. Perché il rumore ti isola dagli altri e ti lascia da solo con la tua paura. Perché l'attesa della scossa ti lacera i nervi, ti urla dentro, ti impedisce di respirare, di pensare, di amare. Perché ti lascia spossato e riprendere il filo del discorso, il filo del pensiero, il filo della tua vita è una fatica immane. Non lo sai se avrai la forza di passarci un'altra volta, ma succede ogni giorno e ogni notte, tante volte. Troppe volte.
Elena finalmente viene a fargli visita: mangiano assieme gli arrosticini come li prepara la signora Anita, bevono la Coca Cola e suonano la chitarra per far cantare i ragazzi. Un bacio no, non si può, non c'è intimità nella tendopoli e non è il momento di chiacchiere e spiegazioni. Spiegare cosa, poi, se neppure loro osano fare progetti per l'avvenire. Mentre Elena canta "Andava a piedi nudi per la strada ... " la montagna urla il suo dolore, si sopportano il silenzio e il nuovo terremoto, poi si torna a respirare.
"E' passata." "Stavolta è stata brutta." "Ma non finirà mai?"
Marta è pallida, ma ha vicino Anita che sa come parlarle. Anche Elena è pallida e Silvio le mette il braccio sulle spalle.
- Mi dispiace. Dovevo avvisarti. Da quando siamo epicentro prima delle scosse c'è il ringhio della montagna. - Va tutto bene, non preoccuparti per me.
Sei impallidita.
- Non me l'aspettavo.
- No. Nessuno si aspetta un tormento simile. Nessuno pensa di dover invocare la scossa come una liberazione dal silenzio.
- Però vi avvisa, vero? La montagna vi avvisa che sta per arrivare la scossa. Si può scappare fuori casa, ci si può mettere al riparo, insomma, ci si può preparare. Il cuore ti martella nel petto e il sangue ti fischia nelle orecchie, ma non devi stare in tensione tutto il tempo: ci pensa la montagna ad avvisarti. Cara, adorabile Elena che davanti ai problemi non cerca colpevoli ma trova soluzioni! Elena che vede sempre il lato buono delle cose, i pregi degli amici, l'interessante delle materie studiate per l'esame. Certo che è meglio essere avvisati prima che arrivi la scossa! Non è la montagna a creare il terremoto, lei aiuta a schivarlo, dà il tempo di mettersi in salvo ... avvisa con uno schiaffo, è vero, ma non può comunicare in un altro modo. E poi è arrivato maggio, finalmente, e Silvio può mostrare ad Elena i fiori che crescono al riparo dei massi, può farle scoprire il profumo della neve che si scioglie nei ruscelli. Vuole bene ad Elena e vuole bene alla sua montagna, le sue donne devono cominciare a conoscersi.
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