Anasso e lo sconcio - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Anasso e lo sconcio

Tutte le edizioni > Edizione22
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XXII EDIZIONE - Treviso, 8 Gennaio 2017
Terzo classificato

Anasso e lo Sconcio

di Adriano Stella - Spresiano (TV)



1. Ciao, amico, che mi stai a guardare. Sono Anasso(1), il mulo "Piave" e il mio Sconcio(2) è Carlo Mussato, l'Alpino che mi guarda chiuso in questo vestito di bronzo e che vuole a tutti i costi che io beva con lui. Povero amico! Quante ne abbiamo passate insieme!
Sentite questa.
Ci siamo conosciuti nel cortile della caserma, dove tutti pretendevano che facessi come volevano loro, ma mi facevano solo soffrire perché non mi capivano. Poi è arrivato lui, Carlin. Ci siamo guardati e siamo andati subito d'amore e d'accordo. Ma non è stato facile! Ora è meglio che ve la racconti lui com'è andata!
2. Invece di una bella donna mi è toccato un brutto mulo, intelligente e rissoso, ma col quale non è difficile andare d'accordo, perché ha un cuore d'oro. Basta guardarlo per capire che non resisti a quei suoi grandi occhi dallo sguardo ilare e schietto che sembra dirti: "Te l'ho fatta, eh?" E scuotendo quel suo testone raglia di gusto come un comico che ha appena finito di raccontare una barzelletta e si aspetta che tu ti metta a ridere, anche se non ne hai voglia.
Cosi è stato con Anasso col quale mi sono incontrato - e scontrato - quel giorno rientrando, stanco e di malumore, da una lunga scarpinata per monti e valli, boschi e prati alla ricerca di un improbabile nemico che ci aspetta.
Di questa lunga scarpinata ricordo solo le vesciche ai piedi e il male boia che avevo. E quel brutto muso di Anasso che mi attende nel cortile della caserma nel momento che un povero ignorantello di principiante novello sconcio vuole buttargli addosso quel finimento di legno e cuoio che ricopre la groppa, cioè il basto, di cui non voleva saperne.
Ad Anasso basta poco per "trar de mato"!
E' allora che lo vedo mentre con salti, calci, impennate e ragli, rivolge occhiatacce al suo "aguzzino", che pensa bene di lasciarlo e scappar lontano finché non si sia calmato.
I due, conducente e mulo, si sfidano da lontano. Anasso sembra lanciare fumo dalle narici tant'è arrabbiato. Pare il toro che vede il torero con la spada e il panno rosso sventolato sotto il naso. E l'uomo ansante che si guarda attorno come alla ricerca di un improbabile aiuto dai compagni che, non lontani, aspettano l'esito della sfida ghignando su chi dei due avrebbe ceduto prima e scommettendo fra loro le sigarette e i pochi soldi sudatamente guadagnati. Quando vede Anasso leggermente calmo, così gli sembra, il giovanotto gli si avvicina a piccoli passi, lo chiama con voce dapprima tremolante poi più chioccia, come se parlasse a una donna che lo intimorisce.
Anasso non si lascia commuovere. Lo aspetta apparentemente tranquillo, gli occhi torvi, attendendo la prossima mossa del giovane inesperto sconcio. Questo estrae di tasca, ricordando il consiglio di un vecio alpin, un paio di zuccherini e gli si avvicina, parlandogli sommessamente. Non vedendolo muoversi, certo d'averlo ammansito, muove ancora due passi, sempre tenendo gli zuccherini in mano, bene in vista.
Povero scemo! Non ha capito niente di quel diavolo di Anasso! Si vede lontano un miglio che lo sta aspettando al varco! Il mulo lo guarda semplicemente mentre Il giovane alpino, convinto d'averlo domato, prende in mano il basto pronto a metterglielo sulla groppa. Il misero! Non si accorge che Anasso sta tirando indietro le orecchie, dilatando le narici, pronto a scagliarsi sul malcapitato; e comincia col pestare gli zoccoli sul duro terreno del cortile, a sbuffare, a scuotere la coda con piccoli, veloci scatti nervosi, immobilizzandosi poi d' improvviso come se lo avessero ipnotizzato, la pelle del nero mantello che vibra come colpita da scosse elettriche. Come sente il basto sulla groppa scatta col muso, d'improvviso, serrando le mascelle come cesoie. E nel contempo scalcia con forza, all'indietro prima e poi di lato.
E' l'urlo e la prontezza del vecio Carlin a salvarlo! Questi, prevedendo il finale, si è lanciato agguantando in tempo il giovanotto per un braccio, strattonandolo e facendolo cadere al suolo, ben lontano da quel diavolo scatenato di Anasso. Gli zoccoli del mulo sfiorano le loro teste. Non li colpisce per puro miracolo ma, una volta rimesse a terra le zampe, li guarda con un lampo birichino nello sguardo e la bocca aperta in un sorriso lasciandosi andare a un raglio di soddisfazione, come a dir loro: "Non vi ho colpito solo perché non ho voluto!" E li guarda con sguardo di sfida e un sorriso sornione mentre scuote il testone, in un gesto di commiserazione per loro e di soddisfazione per lui.
Ma il Carlin non intende dargliela vinta!
- Fatti in là! - dice al giovane sconcio imberbe.
Questi si alza da terra. - Non riuscirai mai a ridurlo alla ragione! - dice, rosso di vergogna. E urla: - Bisognerà abbatterlo prima che ammazzi qualcuno!
"Pivello!" biascica Carlin sputando nella polvere e guardandolo con uno sguardo di commiserazione. E aggiunge.- Povero grullo! Ora t'insegno io! - nella mente rivede l'asino di Vahentin Moreto che il contadino aveva addomesticato con la sua pazienza e tenacia.
Studia il mulo da lontano, in silenzio. Legato com'è, con la catena corta che gli impedisce i movimenti per impennarsi o usare le zampe anteriori, ma non i calci laterali, che piombano precisi e micidiali sui disgraziati che gli vengono a tiro.
"Sei troppo corto!" annuisce Carlo. Detto fatto, si avvicina al mulo mentre il giovane trattiene il fiato e la raccomandazione che gli è salita alle labbra. Grida suo malgrado, vedendo il calcio che il mulo gli misura! Carlo lo evita.
I due, uomo e animale, si fissano: calmo e buono il primo, meravigliato e sorpreso il secondo, che lo lascia fare.
Carlin gli si avvicina, incurante dell'irrequietezza dell'animale, le sue tirate di catena e le zampate, come se fosse stato frustato. E' allora che el vecio comincia a parlargli nella strana lingua di suo nonno buonanima: con voce gutturale e tono ora alto ora blandente. Pare un dialogo fra amici d'osteria, con l'animale che zampa irrequieto e si muove con movimenti sempre meno pericolosi e il vecchio che lo incita e lo blandisce di volta in volta. Ancora una volta Anasso cerca di sgroppare, ma la voce gutturale di Carlo lo calma. A chi lo sente, sembra di udire l'ordine urlato di una SS! Ora, fra i due si sta svolgendo uno strano dialogo, fatto di urla gutturali o blande da parte dell'uomo, di scrollate di testa e sbuffate da parte dell'animale, fino a quietarsi completamente. Sempre parlandogli in quella sua strana lingua, l'uomo gli si avvicina. Prima fa cenno ai suoi compagni di scostarsi. Il giovane sconcio non vuole andarsene, il volto sempre più scuro per lo smacco subito. Carlin ghigna. - Se vuoi prenderti un calcio nelle... , accomodati pure. Dopo, però, non venire a lamentarti che non sei stato avvisato! - e gli sorride con le labbra, non con gli occhi.
Il giovane si allontana borbottando fra sé, ma Carlo non lo ascolta nemmeno. Si è avvicinato al mulo e, parlandogli come aveva sentito fare dal vecchio Vahentin Moreto, prende la catena che lega Anasso al muro e la scioglie.
Anasso non si muove. Forse troppo sorpreso o forse vinto da una cosa a lui incomprensibile: la bontà dominante dell'uomo! Comunque, non tenta di impennarsi, di scagliarsi, di scatenarsi contro qualcuno come avrebbe fatto prima. Mulo e uomo si fissano: uno sorpreso, l'altro con gli occhi sorridenti. L'uomo annuisce, mormora: Vai! E Anasso parte sgroppando e galoppando, finalmente libero! Scalcia con un'allegria irrefrenabile e si lascia cadere al suolo, dove si rotola nella polvere felice come un ragazzino, scalciando all'aria e ragliando di felicità per la recuperata libertà, sotto gli occhi di tutti, compresi quelli del giovane inesperto sconcio che osserva, livido di rabbia e di vergogna, dalla porta dello spaccio, dove si riversa per annegare nella birra e nella grappa la sua inesperta cattiveria.
Carlo lascia che il mulo dia libero sfogo alla sua recuperata libertà. Guardandolo, sorride felice di vederlo nuovamente contento. Lo lascia sfogare a lungo. Quando vede l'ufficiale entrare nel cortile per rendersi conto della gazzarra che vi avveniva alimentata dalle urla contente degli Alpini presenti, si stacca dal muro cui sta appoggiato ed emette un lungo e modulato fischio, cui fa eco un comando urlato nella sua strana lingua. E sotto gli occhi stupiti di tutti, Anasso obbedisce al comando e si avvia trotterellando verso il suo dominatore non senza essersi scrollato di dosso, ancora una volta, la polvere in cui aveva fatto il bagno per liberarsi dai parassiti che lo assillavano. Si lascia prendere dall'uomo, che gli carezza il muso e la schiena, e lo segue verso le stalle.
Dalla soglia del suo ufficio, l'ufficiale segue quella silenziosa processione annuendo. Quando Carlo gli passa vicino, fa: - D'accordo, alpino. D'ora in avanti è tuo! - Poi gli domanda. - Dì un pò: che cosa gli hai detto perché ti segua così, come un cane?
- Niente di particolare, sior tenente. - sorride Carlo. - Gli ho solo detto che, se voleva un buon bicchiere di vino, doveva seguirmi! - e ghigna vedendo l'aria stupita e incredula dell'ufficiale per cui aggiunge - Gliel'ho detto con un "tono d'amicizia". Sa, con gli asini ci sapevo fare una volta e i muli non sono molto differenti. Basta saperli prendere e far loro capire chi è Il padrone. AI resto ci pensano loro! Naturalmente il tutto detto nella lingua di mio nonno! - e Carlo si allontana godendo della faccia sorpresa dell'ufficiale per seguire il mulo nella stalla dove gli dà doppia razione di biada, dopo averlo strigliato a dovere. Sa di essersi fatto un buon amico!

3. - Non ce la farai mai a tornare lassù - mormora l'ufficiale guardando Carlin, lo sconcio, occhieggiando la montagna alle loro spalle, la valle davanti a loro e la luce che indica la postazione del nemico. Scrolla la testa. Aggiunge.
- Tra un'ora è l'alba e il nemico non dorme. Ti vedrà. Come pensi di farcela? - Un attimo di silenzio per ponderare.- No,non ci riuscirai mai! - e si libera la gola da un insignificante moscerino, un modo per dimostrargli il suo imbarazzo per non essere in grado di aiutarlo. Scrolla nuovamente la testa. - Rinuncia. Dopo l'alba ci sarà un'offensiva. Non servirà a niente, come il solito, ma almeno impedirà al nemico di muoversi come fa dopo una buona batosta. Allora potrai muoverti. Almeno avrai un cinquanta per cento di probabilità di riuscirei mentre ora... - sa che non lo fermerà ma almeno tenta di protrargli la vita di altre venti ore.
- lo vado, sior tenente! - risponde Carlin, caparbio come il suo mulo, in piedi vicino all'ufficiale, gli occhi rivolti alla montagna dove lo attendono i suoi compagni, il cappello di sghimbescio, la penna che gli pende di lato, la mano stretta sulla cavezza del mulo che aspetta vicino a lui senza sbattere gli zoccoli né soffiare, immobile come un monumento. - lo vado! - è il suo ultimo commento emesso in un soffio raschiato. - lo vado! - ripete, il cuore in gola, lo sguardo fisso alla montagna ancora oscurata dalle tenebre e dove sa che i suoi compagni aspettano. E, a confermare la sua decisione, dà uno strappo al mulo e biascica un breve ordine.
- Come vuoi, - si rassegna l'ufficiale - ma ricorda: se non ci riesci, saranno cinquanta a non mangiare. In quanto alla posta ... - non osa continuare. Solo mormora. - Buona fortuna! - sogguardando la vetta che gli sembra ancora più lontana e difficile da raggiungere. Già gli pare di sentire gli ordini trasmessi agIi artiglieri, i comandi secchi degli ufficiali, l'affannarsi degli uomini attorno ai pezzi. Può vedere i loro ghigni mentre lo attendono al varco, lui e il suo mulo. Buona fortuna, soldato, pensa osservando le due ombre - lo sconcio e il mulo - allontanarsi nella notte. Sa quanto poche siano le probabilità che riescano a passare, anche se lo spera con tutto se stesso. Non si muove dal suo posto, fissa le tenebre, convinto di non rivedere più né el vecio Carlin né il suo mulo.
- Dannazione - impreca, battendo il pugno sul palmo dell'altra mano - a chi l'ha inventata 'sta maledetta guerra! - con la voce incrinata e gli occhi umidi. E se ne sta lì attendendo gli starnuti dell'artiglieria che non avrebbe tardato a farsi viva. E quando li sente, gli si stringe il cuore. Sa che non può farci niente. Solo aspettare l'offensiva che si sarebbe risolta con la solita carneficina inutile. Anzi no, utile, ma solo per l'inferno al quale procura un bel po' di clienti!
- Avanti, Anasso! - mormora Carlo forando le tenebre con lo sguardo ardente e deciso. Nella mano stringe la corda che li unisce. Sa di non averne bisogno, che Anasso lo segue anche all'inferno se necessario, ma è lui che ha bisogno di sentirselo vicino e non viceversa. Anasso "sente" la strada, l'impervio e stretto sentiero cosparso di rocce che evita con i suoi zoccoli, silenzioso come un indiano in caccia. Come faccia non lo sa. Sa solo che deve fidarsi del suo amico, più e meglio di se stesso, perché quell'animale meraviglioso fiuta e sente la strada e la trova anche in quell'accidente di buio che separa la notte dall'alba. Sa che tra poco questa sorgerà in tutto il suo fulgore e la terra sarà nuovamente sconvolta dalle granate che piomberanno su di loro come i fuochi d'artificio sparati a raffica nelle sagre. Ma qui non si assiste a uno spettacolo pirotecnico, qui i colpi sono reali e seminano morte e distruzione o causano storpiamenti e ferite che lasciano il segno per tutta la vita.
Uomo e animale avanzano silenziosi come puma. Sanno che devono farcela. Si tratta solo di poche centinaia di metri, ma saranno metri che non dimenticheranno così facilmente.
- Avanti, Anasso! Avanti! - mormora lo sconcio.
L'animale non si fa pregare. Avanza tranquillo, passo dopo passo, come se andassero per una passeggiata in montagna. D'improvviso Anasso si ferma, si addossa alla roccia che fiancheggia il sentiero, come per un attimo di sosta. Subito lo sconcio, che lo conosce bene, lo imita. Il sibilo della granata passa su di loro ed esplode cinquanta metri più avanti. "Sono ancora mezzo addormentati", pensa Carlo ma sa che presto si sveglieranno e allora ... Non finisce il pensiero. Anasso si è avviato. Lo segue raddoppiando il passo e adattandolo a quello del mulo mentre osserva preoccupato la luce che arriva da oriente. L'alba si annuncia magnifica ma inesorabile per loro. Il cuore gli si stringe in una morsa ma avanza deciso dietro Anasso. Non pensa a quanto gli può accadere. Non guarda alla morte che, ghignando, sembra attenderlo più avanti. Né l'ascolta. Sa solo che, oltre quella curva lo attendono i suoi compagni che aspettano il rancio e le munizioni, ma più di tutto le lettere, le missive che uniscono i suoi compagni alla casa - fidanzata, moglie e genitori - che permettono loro di continuare a vivere, di sopportare disagi e sacrifici in quelle strette trincee di roccia o in quelle piccole grotte scavate nella montagna, umide e fredde.
Finisce contro il mulo fermatosi senza preavviso. Smozzica una parolaccia. Ricorda le parole del suo istruttore. "I muli sono animali molto saggi. Potete star certi che quando s'incaponiscono e non vogliono andare avanti hanno qualche valida ragione. Magari hanno intuito che c'è qualcosa che non va."
Nell'aria un sibilo e uno scoppio poco lontano, dov'è esplosa la granata. Quanto durerà ancora? Guarda il cielo. Sempre più chiaro. Osserva la fiammata di un cannone dall'altra parte della stretta vallata tutta curve. Si rannicchia su se stesso in attesa dello scoppio. Poi lo strappo della corda. E Anasso corre avanti, di scatto, trascinandolo con sé: una curva, pochi cespugli per nasconderli, una roccia sul sentiero appena sufficiente a ripararli. E la granata esplode più avanti lanciando in aria una pioggia di schegge e sassi. Anasso s'impenna, terrorizzato. Forse è stato colpito, forse no, spera Carlo. L'animale tenta di scappare. Carlin lo blocca. Gli urla qualcosa. Riesce a fermarlo. A calmarlo. - Andiamo, Anasso! - mormora el vecio alpin con la sua voce forte, stentorea, dal tono sicuro. Una sicurezza che è ben lungi dal provare. L'animale lo fissa con gli occhi spalancati. Pochi attimi. E si lancia su per il sentiero.
Carlo fissa la valle, guarda la cima. "Ci arriveremo?" si chiede. E segue deciso il compagno. Non vuole che lo pensi un codardo. Si, lui ha paura, tanta paura, ma lo segue. Nella mente un pensiero. "Sarà quel che Dio vorrà!" e sbircia i lontani artiglieri. Augura loro di sbagliare il colpo.
- Forza, Anasso. Corri - lo incita Carlin. Sopra di loro ode il sibilo, poi lo scoppio. E una pioggia di palle cade al suolo. L'uomo è colpito, Anasso no. Carlo gli grida - Vai Anasso. Vai! Hop! Hop! - e fa riudire l'ordine che gli esce dal profondo della gola in modo deciso, forte, come laggiù, nel cortile della caserma la prima volta che l'ha conosciuto.
A quel grido il mulo ha uno scatto e corre via, orecchi dritti e bocca aperta, come in un largo sorriso.
- Bravo, Anasso! Vai. Corri - lo insegue la voce del Carlin steso contro la roccia per ripararsi dai colpi degli shrapnel. Sa che non lo può sentire, ma quel grido fa bene anche a lui. E solo quando non sente più il rumore degli zoccoli di Anasso battere sul sentiero si accascia al suolo e chiude gli occhi, le labbra stirate in un mezzo sorriso.
"Missione compiuta!" pensa mentre sente i colpi d'artiglieria battere il sentiero alla sua sinistra, dove scende verso il piano.
"Bravo, Anasso!" mormora mentre attorno a lui scende il silenzio nell'alba che sorge di colpo e illumina la montagna a giorno. Anche gli artiglieri si sono calmati non vedendo più nessuno su quel sentiero esposto ai loro tiri.

4. "Papà, quando torni?" sono le prime parole che il tenente GianCarlo Bigolin, comandante della postazione raggiunta da Anasso, legge della lettera che Carlo Mussato, lo sconcio, stringe tra le dita.
È l'ultima cosa che Carlin ha visto prima di svenire. L'ha estratta dalla giubba, una volta rimasto solo. Quando vede il mulo fermarsi, teme che torni indietro. Quel tratto di sentiero, denominato "la strada della morte" per la sua esposizione al tiro implacabile del nemico, ha fatto più morti che non tutto il resto. Facendo forza su se stesso, stringendo i denti per il dolore, Carlin incita il mulo a proseguire. Per un attimo teme il peggio. È quando lo vede inciampare alla fine del tornante.
- Vai, Anasso. Vai! - lo incita. - Non fermarti. Tirati su e vai!
Il mulo riesce, nonostante il peso del carico, a farcela. Quando lo vede proseguire fino ad arrivare - e superare - la "curva della morte", Carlin emette un sospiro e si lascia ricadere al suolo, semisfinito. È allora che ricorda la lettera che stringe nella mano. La guarda come se in essa veda il volto della figlia Laura, un volto serio dagli occhi tristi, addolorati, bello nonostante la fame cui era costretta, il dolore della lontananza, la dipartita verso una terra lontana, profuga con la madre e le altre donne del paese. Si chiede cosa stiano facendo in quel momento e come abbiano accolto la sua famiglia quella popolazione oltre il Grande Fiume, il Po, dove l'esodo le ha costrette. Ma più di tutto sono le parole che gli ha scritto quella cara, dolce bambina nella sua lettera. E si chiede chi sia l'uomo che l'ha intervistata. E perché. Vuole forse ricavarne materiale per la sua propaganda? O non si aspettava che una bambina di dieci anni fosse capace di simili risposte? Nell'attesa che qualcuno lo raggiunga in tempo per portarlo in salvo, ne riprende la lettura.
"Senti, papà, le domande che mi ha fatto il prete del paese dove siamo arrivate; un prete con in testa 'na tecia come l'elmo dei soldati che ci hanno invaso, solo che aveva una croce invece del ciodo. Voleva forse sapere se don Ferruccio ci ha insegnato la dottrina?"
La vista gli si annebbia. Non distingue bene le parole nella luce dell'alba. Si strofina gli occhi. Riprende a leggere.
"Mi chiede cosa sento nei confronti di coloro che mi hanno obbligato a lasciare la mia casa. Non voglio far loro del male, dico. Ne abbiamo subito tanto noi! Solo chiedo a Dio di perdonarli."
"E tu, - continua il prete ortodosso - puoi perdonarli? Non è difficile perdonare chi ti ha fatto soffrire cosi tanto?"
"Ma io non voglio ucciderli! Piango perché ho dovuto andarmene, lasciare la mia casa, i miei compagni, le mie amichette. Come potrei, altrimenti, dirmi cristiana? Prendermela con Dio? E perché? Non sono arrabbiata con lui. Anzi, devo ringraziarlo, perché qui ho trovato altri amici, altra brava gente che ci aiuta. Perché dovrei ritenerlo responsabile di quanto accadutoci? lo ringrazio perché ci ha aiutato. E non poco! Perché dovrebbe essere altrimenti?"
Per essere una donna di dieci anni sei molto in gamba, figlia mia, pensa compiaciuto Carlin mentre attorno a lui il silenzio è tornato sovrano. Sono le ultime luci dell'alba prima che esploda in tutto il suo fulgore e si renda padrona del cielo. E con essa riesploda l'inferno, in tutta la sua forza e distruzione. Si augura che lassù riescano a farcela ancora quel giorno. E appena torna Anasso potrà riprendere insieme il via vai avanti e indietro, fino a che Dio - e il
nemico - lo permetteranno. Scuote il capo. Non vuole nemmeno pensarci. E riprende la lettura per distrarsi, per non pensare alla morte che lo guata da vicino attendendo il suo turno.
"Se Dio si preoccupa di noi è perché ci vuole bene. E non ha permesso che ci uccidessero. Si, ho perso tanti amici. Dispersi, forse uccisi. Per tanto tempo, forse per sempre, non potrò tornare a giocare a casa mia". Qui Carlo indovina le lacrime scorrere giù per le guance della sua bambina. La sapeva molto contenta dei suoi amici ma ora, con quella dannata guerra in corso, chissà se e quando potranno riunirsi. "E so come Dio ama anche chi ci ha fatto tanto male!" Ora le lacrime scorrono giù per le sue guance mentre mormora. "E brava la mia bambina! È così che si deve fare. Porgere l'altra guancia, ma senza dimostrare resa o rassegnazione perché tutti devono sapere chi siamo e perché. Non con la guerra ci dimostriamo forti, ma con la dolce rassegnazione di Chi l'ha insegnato!
È in quel momento che Carlin sente un rumore provenire dalla sua destra. Ascolta presagendo il peggio. Ma quando vede la grossa testa di Anasso spuntare dalla curva il sorriso gli illumina il viso e grida: - Anasso, vecchio demonio, dove sei stato finora? - Poi vede il tenente GianCarlo Bigolin dietro di lui. - Bene, - fa - vedo che ci sei riuscito! - e si accascia al suolo, svenuto, per il sangue perduto e le ferite riportate, soprattutto alle gambe.

5. Dal basso, il capo-batteria Walter Stehyner osserva assieme al suo vice il mulo che scende, non velocemente ma in fretta, il sentiero che porta a valle, oltre la montagna.
- Spariamo signor tenente? - domanda Hans, il capo cannoniere, osservando la scena. Nel parlare si gira verso la batterla per l'ordine.
- E perché? - lo blocca l'ufficiale mentre osserva ora il tenente Bigolin che corre verso il suo avamposto ora il mulo che cammina sul sentiero. - Vedo solo un mulo con un uomo, forse morto, piegato sul basto. - e aggiunge - E' quando salgono che dobbiamo colpirli. Quando hanno viveri e munizioni sulla groppa. Non sprechiamo colpi inutilmente!- e se ne sta lì a osservare quel grosso mulo nero scendere il sentiero. Mentre si chiede "Riuscirà a farcela?" lascia cadere il binocolo sul petto e sbircia il sottoposto che aspetta solo l'ordine di sparare. Finge di non vedere, gli occhi sempre fissi in alto. Ora non scorge più la macchia scura muoversi sul sentiero. Scuote il capo, si gira e - Andiamo! - ordina. E si avvia, deciso.
Il sergente Stappler lo segue, la faccia inespressiva. Non sta a lui giudicare, ma un tiro ben aggiustato lo avrebbe fatto volentieri.

6. Be', sapete dov'è Carlin, ora? Qui sotto, che mi guarda con i suoi occhi da pesce stracco, chiuso nel mio vestito di bronzo e vuole a tutti i costi che io beva con lui una gamella di vino. O forse di late de vida friulana! Forse l'avrebbe anche fatto se non fosse stato per il dott. Bigolin uscito a precipizio da un'abitazione dove avevano portato un alpino "su de giri" per un breve riposo di convenienza.
"Asseo star, Carlo, o finisce par vegnar zo da ch'el monumento"(3). Gli mette un braccio attorno alle spalle e gli dice. "Su, vien co' mi. Entremo là dentro e raccontame come che ti ga fato a cavartea ch'el dì senza che i magna sego i te sparasse!(4).
Mentre GianCarlo lo trascina via, Carlin si volta e, lacrimando come una fontana, grida verso de mi: - Ciao, amigo! Te si el pi bon, el pi inteigente mulo che go mai avudo!(5) - Carlin non sa resistere allo sconforto e, giratosi, butta le braccia al collo del dottore. E ambedue piangono di gusto ai bei ricordi!

(1) Anasso = cosi era chiamato il Piave fino al VI° secolo d.C.
(2) Sconcio = L'Alpino, conduttore di muli.
(3) Lascialo stare, Carlo, sennò viene giù dal monumento.
(4) Su, vieni con me. Entriamo là e raccontami come hai fatto a salvarti quel giorno senza che i tedeschi ti uccidessero.
(5)Ciao, amico! Sei il migliore e più intelligente mulo che abbia mai avuto!
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