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Segnalato 5 31 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Segnalato 5 31

Tutte le edizioni > Edizione31
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA
"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"

XXXI EDIZIONE Arcade, 4 gennaio 2026
Segnalato
L’amore è una cosa semplice
 
di Pedretti Erica
Ravarino (MO)


 
Ottobre 2008
 
Marta guardò fisso il portone davanti a sé. Si tolse gli occhiali, li girò tra le dita, confusa. La fronte aggrottata era un groviglio di rughe e di pensieri. Strinse gli occhi per leggere la targa a destra del cancello di ferro. Una mano sulla spalla la fece sussultare. Teresa le sorrise dolcemente, comprensiva di quella fatica. Lei rispose con un cenno del capo.
 
Marta guardò di nuovo la targa. Villa Azzurra. Casa di riposo.
 
Teresa la prese sotto braccio. La porta si aprì con un sussulto ed entrarono.
 
Marta camminava lenta, guardandosi intorno. Dove sei? Azzurro il nome, azzurro ovunque: le pareti, i pavimenti, le tende alle finestre…ma lei dov’era? Annegata forse in tutto quel mare? E poi eccola. Eccola Marta, la tua Anna.
 
 
Aprile 1954
 
Anna era china a lavare il pavimento, quando Teresa le saltò in groppa, facendola cadere e rovesciare su un fianco.
<<Sei impazzita?!>> urlò Anna alla bambina, che scappò in camera. Anna si mise seduta, la schiena contro il muro, la mano sul ventre. I secondi le parvero eterni, poi un calcetto fece sussultare la pancia. Anna sospirò di sollievo. Emilia e Vittoria la raggiunsero, entrambe con gli occhi spalancati sulla madre a terra. Va tutto bene ragazze. Le due sorelle aiutarono la madre ad alzarsi, poi Anna andò nella piccola camera. Teresa si era infilata sotto le coperte, Anna la accarezzò da sopra. La sentiva tremare. Iniziò a cantare per lei dolcemente e il tremito rallentò. <<Mi dispiace di avere urlato>> si scusò Anna in un sussurro. <<Ho fatto male al fratellino?>> chiese la vocina nascosta sotto le coperte. <<Il tuo fratellino scalcia felice…vieni a sentire>> la invitò Anna.
 
Teresa sbucò fuori dal letto e si avvicinò, gli occhi spalancati, la mano sul ventre materno. Dalla pancia un calcio deciso rispose ai baci di Teresa, che lanciava gridolini ad ogni sussulto. La magia fu interrotta dalla porta che si aprì. Antonio entrò trascinando le gambe, uno sguardo distratto alle bambine, poi gli occhi sulla pentola che bolliva sul fuoco, una smorfia verso Anna. <<Ancora non è pronto?>>. Anna spostò dolcemente Teresa e alzandosi si diresse verso il fuoco. <<Il fratellino dà i calcetti nella pancia>>. <<Speriamo davvero che questa volta sia un fratellino>> borbottò Antonio, rispondendo a Teresa senza guardarla e buttandosi sul letto con ancora indosso le scarpe da lavoro.
 
Quella notte Anna non dormì. Antonio era accanto a lei con il respiro pesante, il profilo duro, accigliato anche nel sonno. Gli occhi della donna si spostarono verso la finestra, dove la luce della luna illuminava una notte senza vento. I monti parevano immobili nel silenzio, ma Anna sentiva il loro sguardo oltre il vetro, unici complici del suo segreto. Occhi muti e premurosi. Come a donarle un sogno, la montagna permise al vento di alzarsi e giocare con le nuvole, fino a disegnare un volto nel buio. Pietro apparve nel cielo di quella notte come fosse davvero lì, con il suo sorriso gentile, i capelli neri, gli occhi luminosi.
 
Nel buio Anna allungò la mano e quasi lo toccò, il sogno.
 
Era arrivato la primavera precedente, Pietro. Antonio aveva bisogno di aiuto e gli avevano mandato quel ragazzo da un paesino del centro Italia.
 
Il giovane si dimostrava infaticabile nel lavoro. Prima dell’alba era già nella stalla e conduceva la mandria al pascolo, fischiettando allegro come non sentisse la fatica, o meglio, come se quella fatica fosse il senso di ogni sua giornata. Parlava con le mucche chiamandole per nome e loro lo seguivano docili, riconoscenti. Antonio borbottava sul fatto che le bestie dovessero essere trattate da bestie, mentre le sferzava brusco per far tenere loro il passo. Pietro dormiva nel vecchio fienile e ogni giorno pranzava insieme a loro. Aveva parole gentili, ma desiderio e luce negli occhi, quando guardava Anna. Non aveva mai osato avvicinarsi, poi un giorno successe. La zuppa era insipida. Così diceva Antonio. Pietro sorrideva, nemmeno mia madre la prepara così buona. Ma Antonio insisteva nel ribadire che fosse insipida, poi prese il piatto, lo scaraventò a terra. Pulisci. Anna tutta china su di sé, piegato il viso e il busto e le gambe, con le guance in fiamme per l’umiliazione.
 
Pietro allora si era alzato. Si era abbassato e le aveva posato una mano sulla spalla. La zuppa è buonissima. E aveva iniziato a pulire anche lui. Poi le braccia di Antonio lo avevano afferrato all’improvviso per il collo della camicia e un calcio gli era arrivato dritto al fianco, facendogli lanciare un urlo straziante. Fuori da casa mia.
 
Da quel giorno Pietro aveva smesso di lavorare con Antonio e non lo si poteva più nemmeno nominare. Se ne era andato dal fienile. Forse dal paese, dall’intera valle.
 
Un pomeriggio Anna di ritorno dal paese aveva preso il sentiero lungo il bosco e si era ritrovata in una radura sconosciuta, dietro cui si stendeva un prato dipinto di verde che prometteva sogni belli. Mentre era immersa in quel colore, Anna si era sentita raggiungere dagli occhi neri di Pietro. Si erano guardati a lungo, poi lui si era avvicinato, la mano sulla spalla di lei, come quel giorno. La tua zuppa era buonissima. Anna allora aveva pianto, e tra le lacrime parlava, con pensieri confusi e disperati. Pietro la ascoltava, poi la mano sulla spalla si era allargata in un abbraccio, e lei si era lasciata abbracciare, perché da quanto nessuno la abbracciava più così. Pietro le aveva asciugato le lacrime con le mani e poi con un bacio. Da quanto nessuno le asciugava le lacrime con un bacio. E Anna si era lasciata amare e lo aveva amato, sul prato che prometteva speranza.
 
Lui aveva detto vieni con me, tu e le bambine. E Anna aveva sognato, quel giorno.
 
Da quanto Anna non sognava un po’.
 
La sera Antonio l’aveva guardata in modo diverso. Come se avesse capito. Il giorno dopo Pietro l’aveva cercata, vieni con me, di nuovo quella preghiera. <<Sei pazzo, ritorna a casa. Amo mio marito>> aveva mentito lei, per restituire quel ragazzo alla vita che gli spettava.
 
Non l’avrebbe mai più rivisto. Ma avrebbe pensato a Pietro ogni singolo istante. Lui le aveva lasciato un segno indelebile. Sentiva la pelle bruciare Anna, lì dove i baci di lui le avevano asciugato le lacrime. Quando dopo poche settimane iniziò a soffrire di nausea, capì che qualcosa di Pietro sarebbe rimasto per sempre su quel prato che li aveva abbracciati, tra quei monti protettori silenziosi di un amore pulito. E anche nel suo cuore e nella sua carne.
 
Quando Anna disse ad Antonio della gravidanza, lui non ne fu felice. Un’altra bocca da sfamare. Speriamo che almeno questa volta sia maschio.
 
Il bambino avrebbe potuto essere anche di Antonio, ma Anna sentiva di avere in grembo il figlio di Pietro. Se una volta nato fosse stato così simile al padre, come avrebbe fatto Anna a nascondere al marito quello che era successo? Come sarebbero sopravvissuti tutti?
 
 
Ottobre 2008
 
Marta entrò nella stanza a passi lenti, Teresa come un angelo custode a vegliare che non vacillasse. Si avvicinarono verso una figura esile, seduta su una sedia, le braccia sul grembo a proteggersi. E’ lei. Marta si voltò verso Teresa, non era sicura che avesse parlato. L’altra annuì.
 
Marta guardò Anna. Aveva immaginato mille volte il loro incontro.
 
Fu Teresa a parlare. <<Mamma…è venuta una persona a trovarti>>.
 
Anna mantenne lo sguardo fisso sulle mani. Sorrise debolmente, annuendo.
 
<<Si chiama Marta, come la tua nonna>> Anna sorrise, annuendo di nuovo.
 
<<Buongiorno...buongiorno Anna>> disse Marta. Le sembrò assurdo quel saluto tanto atteso, fatto in un modo che ora appariva così banale.
 
Anna alzò lo sguardo su di loro, guardò Teresa, poi gli occhi su Marta. Un tempo infinito, una luce che attraversa e irradia e acceca. Poi lo sguardo si ritirò di nuovo, il lampo passò. Era di nuovo lontana. <<Il gatto si è nascosto di nuovo nella soffitta, devo dirlo alla zia Angela>>, disse Anna fissando un punto indefinito della stanza.
 
Marta guardò Teresa con aria confusa. Lei rispose allo sguardo con un sorriso dolce e triste insieme, e Marta capì. Teresa l’aveva avvisata. Anna non è più lucida, non ricorda. Rimasero lì, in silenzio.. Poi Marta si rivolse a Teresa, Andiamo, dicevano i suoi occhi. Teresa la prese per mano, Torneremo. Un po’ alla volta, Marta, e le fece una carezza, come quel giorno di oltre cinquant’anni prima. Quel giorno in cui voleva giocare ma aveva fatto cadere Anna. Il pancione aveva accarezzato quel giorno, la piccola Teresa. Aveva accarezzato sua sorella nel pancione.
 
Il giorno in cui si erano ritrovate, Teresa le aveva raccontato di quelle carezze rimaste scolpite nel suo cuore di bambina e mai dimenticate. Le aveva raccontato di Anna, la loro mamma. Di quando era tornata a casa, senza pancia, senza bambino.
 
<<E il fratellino?>> <<La sorellina>> l’aveva corretta Anna. <<La sorellina è andata in cielo>>. Non avevano più parlato di lei, per anni. Ma lei c’era stata, viva, potente, ogni istante. E quando un giorno Anna aveva raccontato tutto a Teresa e alle altre figlie, loro avevano trovato una conferma a quanto il loro cuore sapeva già. L’amore sembra complicato ma è una cosa così semplice. L’avevano cercata ovunque. E l’avevano ritrovata.
 
Teresa prese Marta per mano e si avviarono verso la porta.
 
<<Dormi su una stella dolce amore mio, dormi sul mio cuore dormo un poco anch’io.>>
 
La voce di Anna le aveva raggiunte sulla porta. Teresa e Marta si voltarono a guardare la madre, sempre china con le mani in grembo, la testa piegata di lato. Aveva cantato con voce delicata quella nenia, arrivata chissà da quale luogo lontano. Le due sorelle uscirono tenendosi la mano. Torneremo.
 
 
Giugno 1954
 
Dopo aver messo a letto le bambine, Anna si diresse verso Antonio, addormentato sul letto e già immerso in un sonno profondo. Lui reagì sbuffando quando lei lo svegliò. <<Ci siamo>> aveva detto Anna al marito toccandosi il ventre. <<Vado a casa dell’Adele>>.  Antonio rimase in silenzio a guardare il volto della moglie e forse si accorse, solo un poco, della piega del labbro, del volto contratto, del respiro affannato. Si domandò in silenzio se avrebbe dovuto accompagnarla, ma lei lo anticipò <<Tu rimani qui con le bambine…la casa dell’Adele è in fondo al sentiero, e c’è ancora un po’ di luce, arriverò da lei prima del buio>>. Antonio annuì ancora assonnato, e ma sì, questa è roba da donne, mica è il primo, e poi mia madre ha partorito sette figli e il giorno dopo era sempre già a lavorare nei campi. Si rigirò e le diede le spalle, cercando di riprendere sonno.
 
Anna diede un ultimo sguardo alla stanzetta dove dormivano le figlie, poi uscì di casa e si incamminò nel bosco, dirigendosi verso la casa dell’Adele. Adelaide, per tutti l’Adele, era l’anziana ostetrica del piccolo paese. Viveva in una piccola casa nel bosco e in paese era un’istituzione per tutti, perché aveva fatto nascere praticamente ogni figlio di ogni famiglia.
 
Anna avanzava a fatica nel sentiero di terra, spezzata dalle contrazioni di quella vita che stava reclamando la propria comparsa nel mondo. Una più dolorosa della altre la costrinse  a fermarsi e a riprendere fiato. Si aggrappò a un albero e gli chiese aiuto, come una bambina impaurita si affida alle braccia forti del padre. Poi cadde a terra e pianse, e si sentì sola, e sentì che quel padre forte ed amorevole lei non lo aveva mai avuto, e che nemmeno le sue figlie lo avrebbero mai avuto. Inspirò ed espirò alcune volte con gli occhi chiusi, e quando li riaprì vide che il buio era ormai sceso nella tiepida notte di inizio estate, illuminata ora solo da un debole spicchio di luna. Si sentì perduta, insieme al proprio bambino, e di nuovo accoccolata a terra cercò conforto nell’albero maestoso e muto, unico compagno in quel dolore solitario. Sulla cima Anna scorse una civetta, curiosa spettatrice della sua agonia, mentre intorno alcune lucciole iniziarono a danzare, piccolo dono di luce nel buio.
 
Un rumore di passi leggerissimo, impercettibile, eppure reale, le fece alzare la testa.
 
L’animale era lì, su una piccola altura, e la stava fissando. Un cane, pensò Anna. Un cane selvatico forse. Morirò, moriremo, tremava con la mano sul ventre teso.
 
La bestia continua a fissarla, ma non aveva per nulla un aspetto randagio. Qualcosa di magico, un’aura quasi regale la circondava. Rimaneva dritta sulle zampe, gli occhi attenti, il pelo folto baciato dalla luna pareva un mantello di cristallo. La montagna e le creature intorno parevano inchinarsi davanti alla bellezza di quel quadro.
 
Anna pensò che morire davanti a tanta bellezza in fondo restituisse senso alla morte stessa. Ma non appena ebbe formulato quel pensiero ecco che no, il figlio che scalciava dentro di lei risuonò con forza e le urlò tutta la potenza della vita. Anna sentì la testa del bambino, sentì che stava arrivando, sentì che poteva farcela. Non era mai stata sola in quella notte, ora lo sapeva. La sua montagna era lì accanto a lei, viva come non mai. La donna appoggiò la schiena all’albero padre, inspirò ad occhi chiusi, si preparò all’ultima decisiva spinta, riaprì gli occhi, li piantò in quelli dell’animale, spinse ed urlò.
 
La bestia ululò con il muso alzato verso il monte.
 
Anna sentì caldo tra le gambe e allungò le braccia. Prese la nuova creatura, figlia della notte, figlia della montagna. Baciò la bambina con lacrime e sudore. La piccola rispose con un piccolo vagito ed eccola lì, pezzo mancante che ora completava un quadro perfetto.
 
Anna rialzò gli occhi, la lupa era ancora lì, testimone della nuova vita.
 
Un voce che chiamava il nome di Anna accompagnato da una luce sempre più vicina fece sobbalzare entrambe. La lupa guardò per un’ultima volta la donna, prima di voltarsi ed andarsene, bella, potente, il ventre gonfio che indicava vita nuova anche dentro di lei.
 
Ed ecco arrivare la voce dell’Adele, e la luce di una candela.
 
Poco dopo l’ostetrica, nel letto di casa sua, asciugò la fronte di Anna. Aveva fatto nascere tutti i bambini della vallata, da generazioni, ma una paura come quella notte non l’aveva mai provata. Aveva sentito le urla di Anna e gli ululati, ed era corsa fuori casa con una candela e pure il forcone, convinta di trovare la donna sbranata dai lupi. Poi le aveva viste, la mamma con la neonata in braccio, appoggiate al grande albero, stravolte, vive. Aveva aiutato Anna a rialzarsi e le aveva portate a casa con sé.
 
<<Sei sicura Anna?>> La voce dell’Adele aveva rotto l’incanto del silenzio.
 
Anna guardò la neonata tra le sue braccia. La bocca ferma in un  bacio, gli occhi con ciglia lunghissime, e i capelli neri, arruffati, identici a quelli di suo padre, a quelli di Pietro.
 
Anna annuì, certa della decisione. Di lì a poche ore sarebbe tornata a casa. Da sola. Avrebbe detto a tutti che era nata una bambina, ma che non era sopravvissuta al parto. Purtroppo sono disgrazie che possono capitare. Alla sepoltura ci pensa l’Adele, parla lei con Don Saverio, fanno una benedizione semplice e preparano tutte le carte, che noi abbiamo già tre figlie e non possiamo permetterci un funerale. Antonio avrebbe commentato che almeno non era maschio. Se fosse dispiaciuto, non lo avrebbe mai dato a vedere. Anna ebbe un sentimento misto di rammarico e pena per lui. Antonio era un uomo infinitamente piccolo. Aveva deciso che l’amore era una cosa troppo complicata e se ne era tenuto lontano tutta la vita. Se solo avesse capito che in realtà l’amore è così semplice. Ma un giorno, non troppo lontano, Anna avrebbe trovato la forza di lasciare quella casa e suo marito, per ricominciare una vita nuova con le sue figlie.
 
Avrebbe raccontato loro tutto, e le ragazze avrebbero cercato la loro sorella più piccola.
 
Si sarebbero ritrovate. Anche lei l’avrebbe ritrovata, lei che era la sua mamma e che l’avrebbe riconosciuta in mezzo a un milione di persone, dopo un milione di anni.
 
<<Fai in modo che venga adottata da delle persone perbene>>. L’Adele annuì, intrecciando la sua mano a quella di Anna. Ne aveva viste tante, nella sua vita, nel suo lavoro. Aveva imparato a non fare domande. Aveva capito che a volte le decisioni non sono giuste o sbagliate, sono soltanto le uniche possibili.
 
<<Potresti fare in modo che le venga lasciato il suo nome? Si chiama Marta, come la mia nonna>> fu l’ultima richiesta di Anna. L’ostetrica annuì di nuovo. <<Riposa un po’ adesso, Anna. Mancano poche ore al mattino>> le disse prima di uscire dalla stanza.
 
Anna posò lo sguardo sulla sua creatura e sentì il cuore colmo d’amore e strazio insieme. Presto avrebbe dovuto salutarla. Ma quella notte, in cui erano solo loro, sarebbe rimasta la notte della sua vita. Quei capelli arruffati e quelle ciglia e l’odore della sua bambina, sarebbero state un marchio a fuoco nel suo cuore.
 
Un leggero colpo di vento colpì la finestra, provocando un rumore improvviso che fece sussultare la bambina. Anna guardò oltre il vetro: la montagna era sempre lì, sorella e madre, compagna di una vita che per quanto dolorosa, è sempre qualcosa di misterioso e meraviglioso.
 
La madre le baciò delicatamente la fronte e cantò per lei, nella notte che fu soltanto loro.
 
<<Dormi su una stella dolce amore mio, dormi sul mio cuore dormo un poco anch’io.>>
 
La piccola Marta si quietò e riprese a dormire.
 
L’amore, in fondo, è una cosa così semplice.
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