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Segnalato 4 31 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Segnalato 4 31

Tutte le edizioni > Edizione31
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"

XXXI EDIZIONE Arcade, 4 gennaio 2026
Segnalato
LA POIANA
di Turrini Graziano
S.Ambrogio di Valpolicella (VR)

 
 
     La gente delle mie montagne
     Ha le braccia forti
     Ha i toraci aperti
     La poiana, no, è un falco
 
     La gente delle mie montagne
     Viene via dalle sue montagne
     Ha vergogna delle sue montagne
 
     Va a bruciare nelle ciminiere
     A morire nelle petroliere
     A crepare dentro alle miniere
 
     Ma la poiana, no
     Non se ne vuole andare
     Piuttosto si fa ammazzare
 
               …. …. ….
 
 
     Enzo Jannacci, La poiana
 


 
           Quando sentì bussare, i cani avevano già drizzato le orecchie. Staccò la doppietta dal muro e aprì la porta. Il messo comunale fece un balzo all’indietro, andando a ripararsi tra i due giovani carabinieri che lo stavano accompagnando. La Poiana diede in rapida sequenza gli ordini e i sei cani si posizionarono, ringhiando minacciosi, in cerchio attorno ai nuovi arrivati. Lei, tenendo il fucile puntato verso il basso, si tolse il sigaro dalla bocca e lo appoggiò sul davanzale. «Cosa volete?»
 
           Il messo comunale, balbettando impaurito, provò a formulare una domanda. «Lei è la signora Fantin Teresa?»
 
           La Poiana scoppiò in una risata. «Se sei venuto fin quassù a Pra’ Maor, è perché sai benissimo chi sono. Dimmi cosa vuoi, tu e i due spaventapasseri che ti sei portato appresso, e poi vattene in fretta.»
 
           «Devo … devo consegnarle questo documento da parte del Sindaco.»
 
           «Il sindaco! Puah!» e sputò per terra. «Ancora adesso mi pento di averlo fatto venire al mondo. Se la sua povera madre sapesse cosa sta combinando quel farabutto, si rivolterebbe nella tomba.»
 
           Il messo comunale allungò la mano, terrorizzato perché per farlo doveva passare davanti alle fauci del gigante maremmano che lo controllava. «Ecco … dovrebbe prendere questo e farmi una firma di ricevuta.»
 
           Lei lo fissò dritto negli occhi, con lo sguardo infuocato. «Io non prendo e non firmo niente. Adesso fate dietrofront e tornate dal vostro padrone a riferire che la Poiana da qui non si muove. E sbrigatevi, altrimenti prima vi sparo e poi vi faccio sbranare dai miei cani.»
 
           Se ne rientrò in casa, trattenendo a stento una risata, ma pensierosa.
 
 
Il suo nome di battaglia glielo aveva dato il comandante Bruno in persona, capo del reparto Gramsci delle brigate Garibaldi di quella zona. “Tu sei come una poiana, Teresa: sei sempre in giro, a spasso nel cielo, tra i monti e tra le nubi. Da lassù guardi tutto, vedi tutto … e sei libera di muoverti come ti pare! Sei la persona ideale per noi.” Dopo quel colloquio Teresa Fantin, che nel 1944 aveva solamente 25 anni, aveva cominciato a fare la staffetta ed era diventata per tutti la Poiana.
 
           All’inizio del conflitto, Fiera di Primiero era considerata un’oasi di pace: la guerra c’era, sì, si sentiva, ma sembrava lontana. Tra quelle montagne, il clima di terrore instaurato dalle camicie nere era sufficiente a mantenere tranquilla una popolazione che non aveva la possibilità né gli strumenti per potersi ribellare. Poi erano iniziate le azioni partigiane e, a partire da quella notte di luglio del ’44 nella quale era stata assaltata la centrale idroelettrica di San Silvestro, anche le rappresaglie nazifasciste.
 
           Ad ogni modo, Teresa Fantin aveva tutte le carte in regola e, soprattutto, il coraggio, per poter fare quello che le chiedevano. Aveva studiato dalle suore, le Orsoline di Feltre, ed aveva imparato un lavoro che amava: la levatrice. Pochi mesi di tirocinio all’ospedale, per poi dedicarsi anima e corpo alle donne delle sue valli e ai loro ventri che non vedevano l’ora di aprirsi e mettere al mondo, possibilmente senza troppo dolore, un’altra vita. Da Fiera di Primiero a San Martino di Castrozza, passando da Tonadico, da Siror, e dalle altre contradine che portavano al Passo Rolle… O, dall’altra parte, verso Val Canali  o su, su, fino al Passo Cereda … Avanti e indietro in bicicletta, una Bianchi da uomo che la comunità le aveva messo a disposizione, sotto gli occhi vigili del Civetta, sorretta dalla bellezza delle Pale di San Martino, protetta dalla maestosità del Catinaccio … Pedalando sempre più forte, sempre più in fretta, con la paura di non arrivare in tempo per dare sostegno, aiuto e speranza a quelle donne sudate e piangenti che non aspettavano altro che la sua parola, i suoi gesti, la sua competenza, la sua esperienza, … Eh sì, perché, nonostante la giovane età, la fama della levatrice Teresa si era spinta oltre quelle valli, oltre quelle vette: tutti la conoscevano, e tutti la rispettavano.
 
           Per questo, quando il comandante Bruno le aveva fatto la proposta, non ci aveva pensato su due volte. Lei conosceva alla perfezione il suo territorio: conosceva la zona, conosceva le strade, ma anche i sentieri, i possibili nascondigli, i rifugi, le eventuali vie di fuga. L’unica titubanza era stata la paura delle conseguenze nel caso l’avessero scoperta. No, non temeva certo per la sua vita: Teresa aveva coraggio da vendere e non le importava certo di morire torturata nelle patrie galere o fucilata in un bosco, alla pari degli uomini che stavano combattendo per la liberazione del suo Paese. Il suo pensiero era per le donne gravide, e a quello a cui potevano andare incontro se lei non fosse più stata al loro fianco nel momento del bisogno. Ma questa sua paura, probabilmente, fu proprio la motivazione che la spinse ad accettare: era consapevole che, più di altri, lei avrebbe dovuto avere maggiore accortezza e attenzione nelle missioni che le sarebbero state affidate, perché la vita in gioco non era solo la sua. Eccola quindi, nell’ultimo anno di guerra, lei e la sua Bianchi, tra una gravidanza a rischio e un parto, portare notizie, trasmettere messaggi, rassicurare famiglie, consegnare medicinali, dare indicazioni ai partigiani sulla dislocazione delle truppe nemiche, …
 
 
           «Il dottor Manzini adesso la può ricevere, signora.»
 
           Entrò nella stanza, tappezzata fino al soffitto di libri sui tre lati liberi da porta e finestre. Il notaio si alzò dalla poltrona, e le andò incontro, abbracciandola. «Ciao Teresa, come stai?»
 
           Lei scosse leggermente la testa. «Io sto bene, Mario, ma sono un po’ preoccupata.»
 
           «È per la storia delle tue terre, vero?»
 
           «Sì.» Si sedette stancamente sulla sedia che l’amico le aveva avvicinato, fece un respiro profondo e cominciò a parlare. «Io sono vecchia, Mario, ho superato gli ottant’anni, e non ho più la forza di difendere la mia casa, i miei animali, le mie montagne …» Riprese fiato un attimo. «Già trenta o quarant’anni fa mi si è spezzato il cuore quando ho cominciato a vedere i nostri giovani abbandonare le valli per andarsene giù in pianura in cerca di un lavoro sicuro, in fabbrica o nelle concerie, a respirare i miasmi delle città e delle ciminiere, a morire di tumori di ogni sorta, ad ammalarsi di tristezza, … E adesso mi tocca vedere questi cialtroni che, con i loro soldi e una brama smisurata di profitto, vogliono distruggere l’ultimo pezzo di paradiso rimasto!»
 
           «È il progresso, amica mia. Se ti può consolare, pensa che porteranno lavoro e ricchezza…»
 
           La Poiana ebbe un moto di stizza. «Ma quale lavoro e quale ricchezza! Il lavoro sarà sfruttamento, e la ricchezza sarà solo per loro. Porteranno catrame e cemento, distruggeranno boschi e foreste, inquineranno i nostri laghi e le nostre sorgenti, avveleneranno la nostra aria, massacreranno i nostri animali selvatici… E tutto questo, per cosa? Per fare i loro maledetti alberghi, gli impianti di risalita e le piste da sci per turisti che arrivano da chissà dove e che non hanno nessuna idea di cosa sia la montagna!» Si rialzò in piedi, sconsolata, avvicinandosi alla finestra per respirare un po’ d’aria fresca.
 
           Il notaio Manzini le mise un braccio attorno alle spalle. «E allora, cosa vuoi fare?»
 
           «Allora, Mario, andiamo avanti con il nostro piano» rispose lei, decisa.
 
           «Come vuoi. Dobbiamo muoverci, però, Teresa. Adesso siamo ancora nella fase delle proposte, nella quale è previsto che tu te ne vada con le buone e lasci le tue terre in cambio di un bell’appartamentino giù a Feltre o a Fiera di Primiero. Poi, dopo tutti i tuoi rifiuti, passeranno alle vie di fatto e, adducendo motivazioni di pubblica utilità o cazzate del genere, modelleranno le leggi a loro piacimento, costringendoti ad andartene…Tieni conto che tu sei l’ultima rimasta: tutti i tuoi confinanti hanno già venduto, e questo gioca a loro favore.»
 
           «Prepara le carte, Mario, e attiva i tuoi contatti in fretta, perché non so quanto tempo ancora mi rimanga da vivere.»
 
 
           Il salotto di casa di Ferrario Ferrari, sindaco di Fiera di Primiero, era strapieno di gente che, agitatissima, confabulava in maniera frenetica. C’erano tutti quelli che contavano. L’intera Giunta Comunale, alcuni commercianti di San Martino di Castrozza e i notabili di Fiera, nonché i titolari delle aziende interessate: dalla realizzazione delle opere viarie agli impianti di risalita, dalla costruzione degli hotel alla manutenzione degli impianti, dalle imprese forestali per il disboscamento a quelle specializzate nella movimentazione della terra, … La riunione, in perfetto stile massonico, era stata indetta al di fuori del Municipio, nella casa privata del sindaco, appunto, per evitare che discorsi così delicati potessero uscire da quelle quattro mura.
 
         Ad un cenno dell’anfitrione la platea si zittì. «Signori, vi ho convocati per fare il punto della situazione e rendervi edotti sugli ultimi sviluppi. Come forse già sapete, tutto procede a gonfie vele. Tutti i terreni sono stati acquisiti e, a breve, potremo procedere con i permessi e le licenze.»
 
           Si alzò una mano dal pubblico. «Signor sindaco, a me risulta, invece, che abbiamo un problema con un lotto, con il proprietario che non vuole vendere…»
 
           «Sì, Bonelli, sì, ci stavo arrivando» rispose Ferrari seccato per la puntualizzazione. «Si tratta dell’appezzamento di terreno – composto da rustico fatiscente, bosco e coltivo – di un’anziana signora. Le abbiamo fatto tre offerte che lei non ha nemmeno voluto prendere in considerazione. L’ultima volta, un paio di settimane fa, ci ha persino cacciati puntandoci un fucile addosso… Purtroppo, con lei dobbiamo andare con i piedi di piombo perché è molto conosciuta e stimata in queste valli e rischiamo di attirarci le antipatie di tutta la popolazione, che non vedrebbe di buon grado un nostro accanimento contro questa vecchia pazza.»
 
           «Vi ha puntato un fucile?» chiese un’altra voce dal pubblico. «E non l’avete arrestata?»
 
           «Come ho detto, con lei dobbiamo andarci cauti … E poi non mi è ancora chiaro come sono andate le cose: se ne stanno interessando i Carabinieri. Comunque, questa signora è molto vecchia, e può tirare le cuoia da un momento all’altro. Ha solamente due eredi, due nipoti che vivono a Padova e che ho già contattato. Ebbene, entrambi sono dispostissimi a vendere, perché a nessuno di loro interessano quei terreni, e mi hanno garantito che faranno di tutto per convincere la zia a vendere.»
 
           «E se non la convincessero? E se la vecchia campasse altri cent’anni?»
 
           Il sindaco Ferrari fece un sorrisino. «Beh, allora dovremo procedere, in accordo con i nipoti, per un suo internamento o, perlomeno, per una attestazione medica di semi infermità mentale: per la vita che conduce – vive da sola in una casa diroccata, con un branco di cani selvaggi e minaccia con il fucile chiunque si avvicini - può essere ritenuta non in grado di intendere e volere, se non, addirittura, un pericolo per la comunità.»
 
 
           Poco meno di un mese dopo, un lunedì mattina, all’Ufficio Protocollo di Fiera di Primiero, il notaio Manzini si presentò con il dottor Attilio Caronti, in rappresentanza del Consorzio “LA POIANA”, per presentare ufficialmente la richiesta per la costruzione di un rifugio per randagi e selvatici in zona Pra’ Maor. L’addetto allo sportello, quando riconobbe il nome della zona interessata, chiese permesso e andò difilato nell’ufficio del sindaco. Dopo nemmeno due minuti, Ferrario Ferrari era, rosso come un peperone, davanti al notaio.
 
           «Che storia è questa, dottor Manzini?»
 
           Il notaio lo accolse con un sorriso a 32 denti. «Ah, buongiorno signor sindaco. È venuto lei in persona ad accogliere la nostra domanda?»
 
           «Ma quale domanda e domanda!» rispose lui inviperito. «Voi non presenterete nessuna domanda. E poi, chi sarebbe questo dottor Caronti, firmatario dell’atto?»
 
           «Sono onorato di presentarglielo. Attilio Caronti, qui presente, è il legale rappresentante del Consorzio, costituito ad hoc per la tutela di Pra’ Maor, dalle maggiori associazioni ambientaliste del nostro Paese. La informo anche che, nell’ultima settimana, il Consorzio ha presentato domanda al Ministero dell’Ambiente per la costituzione di un parco e alla Regione per l’istituzione, nella stessa zona, di un’area protetta. Stiamo solo attendendo le risposte e i permessi.»
 
           Ormai balbettante, il sindaco passò alle minacce. «Ma … ma … voi non potete! Io vi blocco tutto, io vi faccio causa … E poi, quei terreni sono di Teresa Fantin … non ve li venderà mai!»
 
«Per sua informazione, i terreni non sono più proprietà della signora Fantin dal momento che sono stati regolarmente ceduti al Consorzio al prezzo simbolico di 1 euro. E in quanto a farci causa: lo faccia pure, signor sindaco. Lei sa benissimo che queste cose andranno avanti per anni: e lei, dopo che la popolazione verrà a sapere cosa stava combinando, di sicuro non sarà più sindaco e di quegli alberghi con annesse piste da sci non si farà più niente.»
 
 
           Seduti in veranda, guardando il sole che gettava gli ultimi suoi raggi sul Catinaccio, entrambi con il sigaro in una mano e un bicchierino di grappa nell’altra, Teresa Fantin e Mario Manzini sorridevano in silenzio
 
«Hai visto che ce l’abbiamo fatta?»
 
«Non avevo dubbi, Mario, con te al mio fianco.»
 
Restarono in silenzio qualche altro minuto, assaporando la dolce soddisfazione di essere riusciti a vincere una difficile battaglia e preservare l’integrità delle loro terre e delle loro montagne.
 
«Rimane la denuncia per il fucile…»
 
La Poiana si tolse il sigaro di bocca e sputò per terra qualche rimasuglio di tabacco. «Che vengano pure a sequestrarmelo. Quella doppietta era di mio padre che, nell’euforia collettiva di gioia, ha sparato l’ultimo colpo per aria a fine aprile del 1945, quando i partigiani della Brigata Gramsci sono entrati vittoriosi a Feltre: poi, nella speranza che non ci fossero più guerre e che non dovesse più servire, ho fatto sigillare le canne.»
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