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Primo 31 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Primo 31

Tutte le edizioni > Edizione31
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA


"La Montagna:le sue genti , dalla storia all’ attualità"

XXXI EDIZIONE Arcade, 4 gennaio 2026
Primo classificato

L'ALBUM DI SIRIO
di Fonso Maria Rosaria
Rovigo
  
È da stamattina che mi canta in testa: Era una notte che pioveva/e che tirava un forte vento/mmmmmm che grande tormento/per un alpino che sta a vegliar.
Qual era la parola? Non certo mmm. Magari me le scrivo le parole che dimentico. Così poi le posso ritrovare.
... e che tirava un forte vento/lalalalala  che grande tormento. Ma cos'era quella parola? Devo cercare la cassetta del mio coro. E l'album di Sirio.
Esco in giardino. La porta cigola, la devo ungere. Dopo andrò a comprare l'olio. Forse era meglio se mi mettevo le scarpe; le ciabatte si bagnano nell'erba. Beh, poi le metterò ad asciugare. C'è il pino che gocciola. Perché sono qui? Cosa cercavo? Non me lo ricordo.  Fa freddino, ma in montagna è così. Il Pelmo è incappucciato. Stanotte ha piovuto e pioverà ancora. Devo asciugare la panca. Forse cercavo lo straccio?
«Toniii!»
C'è una signora che mi chiama dall'interno della mia casa.
«Dai Toni, vieni dentro che ti ho preparato la colazione. Così prendiamo  anche le pastiglie.»
Che scema, parla al plurale, come se le medicine le dovesse prendere anche lei. Ma me le ingollo solo io quelle stupide pillole che non so neanche più cosa devono curare.
«Arrivo, arrivo»
C'è ancora la neve sul prato, anche se siamo ... In che stagione siamo? Guardo bene, sì qualche croco occhieggia qua e là. Allora stiamo andando verso la primavera.
In effetti in casa si sta meglio.
«Sei andato fuori in pigiama? Siamo in marzo. Fa ancora freddo. Vuoi prenderti un malanno?»
«Dovevo cercare una cosa» le dico. Si chiama Maria? O Paola?
«Lo sai che una signora che curavo l'anno scorso, si è presa una polmonite andando in orto di mattina presto ed è stata all'ospedale per un sacco di tempo?»
Ecco, adesso comincia coi racconti tragici che mi inquietano.
«Cosa cercavi fuori Toni?»
Già, cosa cercavo? Era una cosa importante che ora non ricordo. Ma che mi avrebbe scaldato se l'avessi trovata. Lo sento qua, nel cuore.
«Una cosa del cuore» dico a Maria. O Paola?
«Forse le medicine? E le vai a cercare in giardino?! Eccole qua. Te le ho preparate sul tavolo» mi risponde «Nella cassetta non ci sono più patate. Scrivo su un bigliettino a tua figlia che ne prenda».
La cassetta.
«Cercavo la cassetta del coro»
«Forse è nel mangianastri. L'ho visto in bagno. Te lo prendo»
«E l'album di Sirio?»
«Eh, quello è un bel po' che non si trova»
Lo devo cercare.
«Ecco qua. Te lo accendo?»
«Faccio da me. Grazie» impicciona che mette le mani dappertutto!
«Dai, butta giù le pastiglie. Bene. Finisci il tuo caffellatte e ascolta il tuo coro tranquillo, che tra un po' arriva tua figlia. Ciao Toni. Io vado». Finalmente!  
«Ciao Paola »
«Mi chiamo Maria».
Andata.
Dunque, il tasto giusto qual è? Ah sì. Quello che mia figlia ha colorato di rosso. Click. Lassù sulle montagne, tra boschi e valli d'or... Sentili lì. Tra le tante voci riconosco la mia. Il basso.
«Oggi si registra ragazzi; concentrazione. Abbiamo a disposizione la sala di incisione fino a stasera, però meno sbagliamo prima andiamo a casa». Dopo aver detto questo Arrigo, direttore del coro, mi aveva battuto una mano sulla spalla: non era di tante parole, ma con quel gesto mi dimostrava tutto l'affetto e la solidarietà che un essere umano può donare a un amico che da poche settimane aveva perso la moglie. Dopo tre giorni dall'aver dato alla luce Sirio, quarto figlio, mia moglie Angela era spirata.  
Gli sorrisi e annuii: ci sono, col cuore rotto, ma ci sono. Per il mio coro ci sarò sempre.
Lui, io e pochi altri, eravamo i pionieri del "Genzianella", la corale alpina nata un po' per gioco un po' per diletto, quando in inverno il freddo gelido ci rintanava al bar da Nino a raccontarci le ultime della famiglia, del lavoro, scivolando spesso a ricordare la leva che alcuni di noi avevano fatto nel corpo degli alpini: Brigata Cadore, giorni intensi, a tratti faticosi, ma indimenticabili. Giorni in cui si crearono amicizie che poi durarono una vita.
Ecco cosa eravamo noi del "Genzianella": un pugno di amici con la voglia di cantare insieme, di modulare le nostre voci diverse in un' unica armonia; quella che respiravamo al mattino guardando le cime  che ci accoglievano a ogni risveglio. Quell'armonia che ci sollevava dalle fatiche del giorno e che ci accomunava nel medesimo sentire.
Arrigo era musicista; suonava il pianoforte e, conosceva bene la musica e i suoi segreti. Noi eravamo profani, ma dotati di una buona voce e di un ricco bagaglio di canti popolari della nostra terra. Quei canti che spesso le nostre mamme usavano come ninne nanne per addormentarci.  Canti a loro volta tramandati dai nonni, custodi inconsapevoli di un patrimonio di vita passata, di storia di guerra e di amori.
Col tempo la cosa si era fatta più seria, e aveva visto il coinvolgimento di persone interessate dei paesi vicini, di coloro che la vita aveva portato in città ma il cui cuore era rimasto tra le vecchie case di sasso;  e anche di alcuni turisti che venivano a soggiornare tra le nostre montagne e che erano disposti ad affrontare il viaggio per partecipare alle prove e ai concerti. Ora eravamo in tanti, un vero coro: tenori, baritoni, bassi. Diversità di voci, di persone, diversità di partiture, amalgamati nella ricerca della sintonia di un unico canto.
Quella mattina nella sala prove, eravamo tutti un po' elettrizzati per via della registrazione 'ufficiale' su audiocassetta. Poi ne sarebbero venute altre, ma quella fu proprio speciale. Alla fine stappammo una bottiglia e Danilo, il tesoriere,  tirò fuori dalla sua sacca il salame. Celebrammo così la nostra prima incisione.
«Ciao papà. Abbassa quel coso, ha il volume altissimo! Perché non hai finito il caffellatte? È ghiacciato!»
«Ciao Silvana»
«Togli le ciabatte che sono umide. Tieni, metti queste pantofole. Non sarai mica uscito vero?»
«No, no. Cosa uscivo a fare? Ce l'hai tu l'album di Sirio?»
«Lo stai cercando da anni papà. Chissà dov'è! Tieni, finisci il tuo caffellatte, te l'ho riscaldato.»
Sparisce. È andata via? Sento tonfi e rumori. Finestre che si aprono.  Che sia tornato il vicino di casa? Ma non era morto? Forse è suo figlio. Quello che era andato a vivere a Milano. Che brutto posto!
Era enorme quell'ospedale di Milano. Troppo grande per il mio piccolo Sirio. Quindici anni e un male più grande di lui; c'era anche Silvana, la mia figlia maggiore allora venticinquenne. Sapevamo già il verdetto, ma volevamo assicurargli il meglio e non lasciare nulla di intentato.
Stava per iniziare un lungo cammino, lo sapevamo. La fatica del lavoro nei boschi e delle salite, il rapido mutare del clima, l'insidia dei dirupi erano niente in confronto all'ignoto insidioso che aveva fatto capolino nella nostra vita. Mi sentivo spaventato e disarmato. Non avevamo già dato abbastanza? Mio figlio, al contrario, stava fiero davanti alla sua malattia come uno scalatore caparbio davanti alla roccia.
«Non preoccuparti papà. Tre giorni passano in fretta. E poi mi sono portato i colori» mi dice estraendo dallo zainetto la sua scatola di pastelli. Il disegno era la sua passione. Ed era veramente capace. «Ma accipicchia! Ho dimenticato il quadernone!»
Non dissi niente. Un groppo mi serrava la gola guardando il suo visetto corrucciato così somigliante a quello della madre.
«Torno subito» sussurrai a lui e a Silvana che premurosa stava sistemando le sue cose nell'armadietto della stanza.
Uscii. Non riuscivo a trattenere le lacrime. Piangevo e camminavo. Corridoi. Ascensore. Mi dovevo calmare. Raggiunsi il parcheggio, aprii l' auto e presi dal cassetto il mio album che raccoglieva le parole dei canti scritti a mano quando il coro era ancora ai primi vagiti; solo tempo dopo, il segretario dotò ognuno dei coristi di cartelletta blu che si riempì via via di testi dattiloscritti e fotocopiati.  Ora l'album non serviva più per il coro, ma lo portavo sempre con me, come una presenza rassicurante, un rifugio musicale, un compagno di cordata.
Quando tornai in stanza, avevo ripreso il controllo di me stesso: «Ecco qua Sirio. Il mio quaderno dei canti. Potresti disegnare nelle parti bianche delle pagine, magari ispirandoti a quello che le canzoni ti fanno venire in mente. Vedi? C'è tanto spazio libero.»
«Che bella idea papà! Decorare il tuo album. Sì! Comincio subito» mi aveva risposto entusiasta.
«Ehi nano» era intervenuta Silvana «guarda che è prezioso. È come se papà ti lasciasse un suo pezzetto eh, devi trattarlo bene e farne un capolavoro». Da quel giorno quel quaderno divenne l'album di Sirio.
Infatti, aveva deciso che me l'avrebbe restituito solo quando l'avesse completato. Per questo lo nascondeva. «Lo vedrai quando avrò finito di illustrare tutti i canti.»
Lo tenne tre anni, lavorandoci su, tra alti e bassi della malattia, celandolo e custodendolo in luoghi sempre diversi, che conosceva solo lui. Era diventato un gioco al quale stavo volentieri. Come se "finché c'era album da disegnare c'era vita da vivere".
Ma non me lo consegnò mai, perché il suo cuore, indebolito dalle cure, aveva deciso diversamente. E si era fermato improvvisamente, facendo volare Sirio a incontrare la sua mamma.
«Ho arieggiato e sistemato la tua camera papà»
Ah! Riappare Silvana:
«Vado al lavoro. Tu stai lì tranquillo. Ascoltati la tua cassetta. Quei pantaloni lì van bene se vuoi fare due passi nel giardino di casa. Non allontanarti però. Nel pomeriggio passo e andiamo insieme a fare un po' di spesa. Per il pranzo viene Luisa, va bene?»
«Hai visto l'album di Sirio?»
«Me l'hai già chiesto» si sta irritando «No, non l'ho visto. Mi hai ascoltata almeno?»
«Sì, per il pranzo viene Bruna»
«No papà. Viene Luisa. Bruna abita in Sicilia da anni. La vedremo in estate. E starà con te un mese»
«Certo, certo»
«Ciao papà»
«Ciao»
Qualcosa la preoccupa. Lo sento dalla voce. Lei è sempre stata così: deve preoccuparsi di tutto e di tutti.  
La stanza si fa improvvisamente luminosa. È uscito un po' di sole. Devo andare alla ricerca dell'album. Arrigo. Forse lui può suggerirmi dove cercare. In fondo sono pochi passi.
Mi metto il giubbotto ed esco. La sua casa è a pochi metri dalla mia. Un po' di discesa e ci sono. Tutto chiuso. Anche i balconi.
«Ciao Tonin!»
«Ciao Romano. Hai visto Arrigo?»
«Chi?!»
«Arrigo. Il direttore del nostro coro»
«Ma ... Toni ... non ricordi? È andato avanti anni fa. Gli abbiamo pure cantato al funerale ...»
Cammino e, no, non ricordo. Certe volte ho una gran confusione in testa. Bisogna che cominci a scrivermi le cose. Se avessi il mio album. C'erano ancora pagine libere.
Era una notte che pioveva/e che tirava un forte vento/mmmmmm che grande tormento/per un alpino che sta a vegliar. E quella parola che non viene. Ho sete. È rimasto solo un bar nel paese. Non è quello di Nino. Chi sono questi che mi salutano? Boh.
«Buongiorno Antonio. Cosa desidera?»
«Buongiorno» è giovane la cameriera «Acqua. Un bicchiere d'acqua frizzante».
Mi sa che questo bar è nuovo, si vede dal colore smagliante delle pareti. A parte quella di sasso. Non resisto. Devo mettere le mani sulla rugosità grigia e fredda. Che bel sentire! Una Madonnina dalla mensola mi guarda e mi sorride.
Santa Maria/Signora della neve/ ... «Ho quasi finito papà, sono arrivato alla pagina di Signore delle Cime.»
«Bene. Sarebbe anche ora!» risposi.
Ma una nuvola nera mi avvolse il cuore. "Finché c'era album da disegnare c'era vita da vivere".
Scacciai quei pensieri. Ormai ero diventato bravo a controllare la mia mente quando voleva prendere una china senza speranza. Solo così avevo potuto continuare a vivere, lavorare, cantare, curare e crescere i miei figli.
«Cosa fai stamattina Sirio?»
«Vado alla grotta della Madonna.»
Non era faticoso arrivarci. Anzi, il medico gli aveva consigliato di fare passeggiate tranquille, fino alla prossima chemio. Doveva solo stare attento se incrociava qualcuno e ripararsi con la mascherina. Ma di mattina, in quella strada verso il bosco difficilmente avrebbe incontrato gente.
«Bene. Torna presto però, mi raccomando»
Forse l'album è là. Esco dal bar.
«Antonio dove va? E la sua acqua?»
Quale acqua?! Ma che sta dicendo! Il sole non c'è più. Lontano sento anche il tuono. Mi affretto. Se si mette a piovere la strada sterrata della grotta diventa fangosa. Sai dopo le mie figlie quanto mi rimproverano se sporco le pantofole!
Devo cercare l'album di Sirio. Campane. Le campane della chiesa suonano. Con questo tempo scuro e piovoso non capisco se è mattina o se è pomeriggio. Dove ho lasciato l'orologio?
Ho il fiatone. Non ricordavo ci fosse una salita; e neanche un ponte. Ora mi sento un po' confuso. Meno male che una sbilenca freccia di legno tarlato e consunto con sopra l'immaginetta della Madonna mi fa capire che devo tornare indietro.  Infatti, il bosco mi pareva troppo fitto. Faccio dietro front. Comincia a piovere. Dai dai, che una volta là, davanti alla grotta, c'è una panca. E c'è anche un tavolo; forse Sirio si è seduto lì per disegnare sull'album. Trovo presto il bivio che mi aveva ingannato. Imbocco l'altro sentiero.
Mi ritrovo in ginocchio per terra, con le mani infangate. Sono scivolato. O inciampato su una radice. Rialzarsi non è facile: slitto ginocchioni fino all'abete più vicino. Mi appoggio e a fatica mi rimetto in piedi. Niente di rotto. Solo inzaccherato.
Riprendo il cammino sotto la pioggia che si fa battente; il suo rumore si confonde col frastuono del torrente e con la mia testa confusa.  Ora non so più perché sono qui. Ma sento che devo andare avanti.
Raggiunta la grotta scavata nella roccia mi ci rifugio dentro. Dietro la statua di Maria lo spazio è più asciutto.
Era una notte che pioveva/e che tirava un forte vento/lalalalalala che grande tormento/per un alpino che sta a vegliar. Ho dimenticato una parola. L'album di Sirio. Lo devo cercare.
Con le mani tocco il sasso gelido e le molte nicchie che l'irregolarità della pietra forma sulle pareti della cavità. Finché le mie dita sfiorano, nell'angolo più appartato, il lucido dei lembi di una sportina di plastica, con una pietra sopra a fermarla.
Cautamente la libero. Famiglia Cooperativa si legge a malapena. Tremo.
«Toni, sei qui?»
Chi è questo che mi chiama, ha un casco. È venuto in moto?!
«È nella grotta!» urla il tipo.
«Papà!» è Luisa. O Silvana? Si assomigliano così tanto.
«Stai bene? Sei fradicio d'acqua e di fango. Che spavento! Abbiamo perfino chiamato i pompieri!»
«Immaginatevi è la parola. Ho trovato l'album di Sirio. È bellissimo»
Piange mia figlia. E piango anch'io.
«Andiamo a casa Silvana?»
«Sono Luisa papà. Non piove più. Sì, andiamo a casa».
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