Un tarlo chiamato nostalgia - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Un tarlo chiamato nostalgia

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XXI EDIZIONE - Arcade, 5 Gennaio 2016
Segnalato

Un tarlo chiamato nostalgia

di Franca Monticello - Vicenza




Emigrato in America all'età di diciassette anni, Bortolino aveva fatto il possibile per dimenticare il suo piccolo borgo, immerso fra le montagne dell'altopiano di Asiago. Se n'era allontanato dopo che un fulmine aveva incendiato la stalla, causando la morte di entrambi i genitori e della loro unica mucca.
Affrontando la miseria, la solitudine e la disperazione, era rimasto solo il tempo di cedere agli zii il pezzo di casa di corte dov' era vissuto con la sua famiglia, poi, con il gruzzolo ricavato, nascosto in un sacchetto ben cucito nella biancheria intima, era partito. Prima di chiudersi la porta alle spalle, aveva lanciato un'ultima occhiata alla cucina e lo sguardo gli era caduto sul cappello da alpino di cui suo padre era stato tanto fiero, appeso a un gancio sul muro. In due passi l'aveva raggiunto e se l'era calcato in testa.
Era sceso a piedi attraverso sentieri impervi fino a Carrè. Da qui, con mezzi di fortuna aveva raggiunto Vicenza, dove era salito sul primo di una serie di treni che l'avrebbero portato a Genova.
Non aveva una meta precisa, sapeva solo che da lì partivano le navi per l'America e per lui, al momento, l'unica cosa importante era allontanarsi dal luogo della tragedia che l'aveva colpito, sperando così di dimenticarla. Quando vide per la prima volta il mare, sgranò gli occhi affascinato dalla sua immensità e sgomento a un tempo alla prospettiva di doverlo attraversare.
Con gli scarponi ai piedi, lo zaino in spalla e quel cappello troppo largo per lui, il giovane montanaro si sentì osservato con diffidenza, ma trovò comunque persone disponibili a dargli informazioni. Arrivò così alla biglietteria del porto, dove chiese di partire il più presto possibile per qualsiasi destinazione, purché lontana. Fu fortunato: trovò posto in una cabina di terza classe su una nave che salpava di lì a dieci giorni per New York. Non chiese quanto fosse lontano o quanto tempo avrebbe richiesto la traversata, gli bastò sapere che aveva soldi sufficienti per il biglietto e lo comprò.
Trascorse i giorni dell'attesa al porto, offrendosi per qualsiasi lavoro; riuscì così a sopravvivere senza intaccare ulteriormente il suo piccolo patrimonio e alla fine s'imbarcò.
Il viaggio fu un' odissea, ancor più lo furono lo sbarco, la permanenza a Ellis lsland con il terrore di essere rimandato indietro, poi l'impatto con una città ben lontana dalla sua immaginazione, dove tutti parlavano una lingua per lui assolutamente incomprensibile.
Durante la traversata aveva stretto delle amicizie e, all'inizio, aveva pensato che questo l'avrebbe aiutato a inserirsi. Ben presto, invece, capì che non sarebbe stato così: alcuni avevano già dei contatti locali e ne erano gelosi per paura di dover condividere eventuali privilegi; altri, spiantati quanto lui, potevano rivelarsi dei rivali nella ricerca di lavoro. Affrontò dunque completamente da solo la grande metropoli.
Il cappello da alpino era il suo portafortuna: tanto suo padre gli aveva parlato della solidarietà fra commilitoni, che sperava, indossandolo, di attirare su di sé quella del prossimo.
Furono anni duri e ora, ricordandoli, Bortolino, per tutti mister Burt, provava una gran malinconia, ma anche tanto orgoglio per quanto era riuscito a realizzare nella vita con le sue sole forze. Aveva cominciato come lustrascarpe alle dipendenze di un ciabattino; seduto davanti alla porta della sua bottega, lucidava gratis le scarpe ai signori di passaggio mentre la moglie del titolare mostrava loro i manufatti del marito, invitandoli a comprarli o a farsi fare delle riparazioni.
Quando il ciabattino si era accorto di quanto il montanaro italiano fosse sveglio e laborioso, aveva cominciato a insegnargli il mestiere e, alla sua morte, avvenuta poco dopo quella della moglie, gli aveva lasciato la bottega. Bortolino aveva sentito allora di avere la fortuna dalla sua parte e, affittato un negozio con annesso laboratorio, vi aveva installato dei nuovi macchinari, aveva assunto un paio  di garzoni e, finalmente, l'attività era decollata. Adesso i suoi figli gestivano un calzaturificio e due negozi, i suoi nipoti non parlavano italiano e non sapevano nemmeno dove fossero le loro radici, né gliene importava. Ripensare al paese natio aveva sempre procurato dolore a Bortolino che, infatti, evitava accuratamente di parlarne. L'aveva accantonato nell'angolo più remoto della memoria e stava bene attento a non sbirciarci dentro. Ma, con l’età, i ricordi del passato lontano cominciarono a sgomitare per rivedere la luce e, sempre più spesso, Bortolino sentiva emergere alla coscienza immagini dapprima sfocate, poi più nitide, mentre la nostalgia, invasiva come un tarlo, cominciò a insinuarsi in lui.
La sera a letto, dopo che Meg, la moglie americana, si era addormentata, rimaneva sveglio a lungo, supino e, con gli occhi spalancati nel buio, rievocava quel che aveva voluto dimenticare.
Rivedeva allora i dolci pendii dell'altopiano natio, le povere case e le stalle col tetto di lamiera, la chiesa bianca dove aveva ricevuto i sacramenti, i pascoli che si estendevano fin dentro il bosco. Risentiva il grande silenzio ammantato di neve degli inverni gelidi in cui, completamente isolati dal resto del mondo, i paesani affrontavano la vita insieme come un'unica famiglia. Respirava i mille profumi del bosco nella bella stagione: quello balsamico della resina dei pini, quello dolce dei ciclamini, il sentore umido dei funghi e del muschio. Rievocava con tenerezza l'antico odore di stalla che impregnava cose e persone: era l'odore della mucca pezzata che faceva parte della famiglia e contribuiva al suo sostentamento, ma era anche l’odore di casa sua e degli abbracci della sua mamma.
Gli sembrava dolce perfino il ricordo della fatica. Tutto era fatica lassù in montagna e ogni lavoro richiedeva la forza delle braccia, delle gambe e della schiena. Bortolino lo sapeva bene perché fin da giovanissimo aveva aiutato suo padre a dissodare il terreno duro, a segare gli alberi nel bosco e a trasformarli in cataste di legna.
E tutto, nel ricordo, gli appariva bello, poetico, tenero. Una grande voglia di tornare a casa e un insopprimibile desiderio di ritrovare le proprie radici s'impadronirono di lui, contemporaneamente alla consapevolezza che il sempre più rapido scorrere del tempo non giocava a suo favore.
Come avrebbe potuto dirlo ai figli ai quali non aveva mai raccontato niente delle sue origini e alle cui domande aveva sempre risposto in modo evasivo o seccato? Come avrebbe accettato Meg l’idea di un, suo viaggio in Italia a ottant'anni suonati?
Affrontò con lei per prima il discorso e la sua reazione lo sorprese.
-Tesoro,- gli disse prendendogli la faccia tra le mani -è una vita che aspetto questo momento. Credi che non abbia capito che la tua reticenza nasconde in realtà dolore e paura? Credi che non sappia che ogni tanto tiri fuori quel vecchio cappello dalla penna nera che credi di avere accuratamente nascosto, lo accarezzi, gli parli? Ti sei sempre comportato come se odiassi il tuo paese, ma io so che l'Italia te la porti dentro.
Bortolino non aveva più pianto dal giorno dei funerali dei suoi genitori. Non aveva pianto durante il disagiato viaggio verso l'America, solo e senza prospettive, né, una volta arrivato, nell'affrontare mille vicissitudini. Era come se dentro di sé avesse eretto una diga capace di contenere tutte le emozioni. Pianse adesso, abbracciando la moglie e, all’improvviso, quella diga si sgretolò; tutte le sovrastrutture che costituivano mister Burt crollarono e ne riemerse
Bortolino, il montanaro, orgoglioso delle sue radici saldamente ancorate sull'altopiano di Asiago.
Non dovette nemmeno farsi carico di dirlo ai figli, perché ci pensò Meg che, anzi, convinse Sean, il più giovane, ad accompagnare lei e il marito nel suo viaggio nella memoria.
Quanto diverso fu per Bortolino quel percorso a ritroso, dopo più di sessant'anni! Come non ricordare, durante le nove ore di volo in business class, l'interminabile traversata in nave, la puzza nei locali dei ponti inferiori, la scomodità delle cuccette, la scarsità di cibo e perfino di acqua?
Scendere su Venezia fu un' esperienza emozionante per tutta la famiglia, che poi, noleggiata una macchina, proseguì verso la meta: l'altopiano natio.
Bortolino era stordito, guardava dal finestrino e tutto gli era nuovo: l'autostrada A4 trafficata di macchine e camion, la più tranquilla Valdastico e, all'uscita, a Piovene, subito lo svincolo per Asiago. Ammirò la statale del Costo con i tornanti ampi e si rese conto che quella che ricordava come una distanza interminabile, era in realtà ben poca cosa.
In due ore, da Venezia, arrivarono sull'altopiano e Treschè Conca li accolse, placidamente adagiata sul verde dei prati, con le case colorate e i balconi fioriti.
Mentre Sean guidava, Meg osservava il marito e lo vedeva confuso, incapace di collegare quel che vedeva con ciò che ricordava. Nessuno era stato informato del loro arrivo, del resto chi avrebbe potuto ricordarsi di una persona che aveva lasciato il paese più di sessant'anni prima? Bortolino aveva scritto una sola volta ai suoi zii, arrivato in America, poi aveva tagliato i ponti. Rammentava che all'epoca avevano un solo figlio piccolo di cui aveva dimenticato persino il nome.
Arrivati ad Asiago, presero alloggio in un albergo un po' fuori città, dove avevano prenotato due camere. Agli occhi di madre e figlio la cittadina apparve come una bella realtà popolosa con il corso affollato di turisti, negozi eleganti, hotel di classe e tante case. Bortolino invece cercò senza successo dei punti di riferimento, annusò l'aria alla ricerca degli antichi odori. Dov'era il suo passato? Dov'erano finite le povere case e le stalle con il tetto di lamiera? Dov'era l'assoluto silenzio che tanto aveva rimpianto nella caotica New York?
Non fu facile rintracciare il suo borgo natio; negli anni la contrada aveva cambiato nome e dovettero andare in municipio in cerca d'informazioni, ma quando, finalmente, Bortolino mise piede nella corte dove aveva trascorso l'infanzia, si sentì mancare. Le case, attaccate l'una all'altra, erano state ristrutturate e dipinte di vivaci colori, la corte era stata lastricata, al posto della stalla della sua mucca pezzata c'era una graziosa abitazione col portico, ma, nell'insieme, la struttura era rimasta la stessa. Bortolino riconobbe la porta di casa sua e, per un attimo,  attraverso un velo di lacrime, gli sembrò di vedere la sua mamma uscire da quell'uscio e venirgli incontro. Moglie e figlio non fiatarono per non turbare un momento tanto intimo.
A un tratto, un bambino uscì da una delle case trascinandosi dietro la sua biciclettina. Montò in sella e prese a pedalare correndo in tondo.
Sua madre s'affacciò alla porta, vide i tre estranei fermi all'imbocco della corte e gridò al figlioletto: Bortolino, vai piano, attento a non investire i signori!
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