Un gigante dagli occhi dolci - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Un gigante dagli occhi dolci

Tutte le edizioni > Edizione06
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VI EDIZIONE - Arcade, 5 Gennaio 2001
Trofeo "Ugo Bettiol"

Un gigante dagli occhi dolci

di Alessandro Scarpellini - Pisa



La montagna era immensa. Un gigante dagli occhi dolci, che aveva sui pendii boschi d'abeti. Poi si faceva nuda di verde e glabra di cespugli. Solo ogni tanto, fra le rocce, fioriva qualche fiore selvatico.
C'era un tratto, vicino ad una scesa veloce d'acqua, dove l'eco cambiava voce, e anche la voce maschile diventava quella di una donna. Dicevano i vecchi che una ragazza dai capelli di sole era morta alla sorgente, cercava di notte d'arrivare alla cima per vedere l'altra parte del mondo. Leggende che avevano il sapore di polenta condita con sugo di carne di cervo maschio. Poco più in là un salto, un baratro profondo, fatto di rocce taglienti, che sembrava la gola aperta di un orco cattivo. Se si metteva un piede in fallo nello stretto sentiero di sassi smossi che brillavano ogni tanto per delle vene segrete di luce, si cadeva giù nel niente.
Angela Desaco, pensierosa, camminava verso la piccola chiesa, stringendo nelle piccole mani un mazzetto di viole matronali (che di notte profumano di miele, addolciscono il buio di sogni). La montagna splendeva della luce rosa del tramonto.
"Non bere alla fontèna del omblia " 1) le diceva il padre, che amava la montagna.
I monti pallidi. La vecchia nonna raccontava al fuoco crepitante del camino la storia dell'amore di un giovane principe malinconico con la figlia dei re della luna, del re dei nani Salvani che aveva insegnato ai due giovani innamorati come filare i raggi lunari e ricavare una stoffa leggera di luce.
Angela Desaco era golosa della torta de fornel 2) appena fatta. Sua madre sussurrava con voce flebile la leggenda del Re Laurino e della bellissima Similda, di guerre cattive fra uomini e nani, dell'astuzia del re dei nani, delle rose rosse che si possono vedere solo al crepuscolo.
La famiglia, dopo aver cenato, si riuniva, come un tempo, alla stufa, per vivere il rito della memoria e dell'affabulazione.
Angela voleva andarsene via. Viaggiare in grandi città, conoscere gente nuova e una vita diversa. I giovani in paese bevevano grappe il sabato sera e gli altri giorni si ubriacavano di latte di mucca con le mani indurite di terra. Era donna, aveva conosciuto cose segrete dell’amore: mani che la sfioravano, la spogliavano.
Quel segreto la inquietava e la faceva star male.
Era accaduto, in discoteca, durante una breve vacanza al mare. Quella cittadina non aveva cime aspre e spoglie di montagna. Non c’erano pendii rocciosi, erba da tagliare, sere noiose, torta di carote… ma barche costose ormeggiate nel piccolo porto, gente abbronzata sulle spiagge, giovani con la voglia di divertirsi, ragazze in shorts che parlavano liberamente d’amore.
Prendi questa, piccola!” le aveva detto un ragazzo biondo, occhi verdi, che sembrava un attore del cinema.
“Cosa?” aveva chiesto, arrossendo.
“Un flash avrai… viaggerai” aveva risposto, sorridendo.
Una piccola pasticca bianca. Una capsula, una pastiglia insapore. Tutto aveva incominciato a girare vorticosamente. Sembrava facile, le luci confondevano i pensieri. Si era sentita strana. Ballava, si muoveva, ballava. Il giovane le parlava di sballo. Non sentiva la quiete morbida e profonda della montagna, ma la frenesia calda della droga che sconvolgeva i sensi. Tutto girava intorno come una trottola di metallo lucido lanciata da un pazzo nella strada in discesa di un paese sconosciuto. Immagini frenetiche e colorate scuotevano la sua mente, l'aprivano come un frutto tagliato da una lama tagliente.
"Balla, piccola!" gridava il giovane, che sembrava muoversi e vorticare di luce abbagliante.
Angela, senza capire come fosse successo, si era ritrovata in un prato. Le vene che pulsavano di sangue e la testa confusa. Le mani dell'uomo la spogliavano in fretta, senza dolcezza e senza carezze. La gonna nuova si sporcava d'erba e di terra. Le mutandine scostate, il sesso umido e fremente invaso da qualcosa di duro. Gli affetti diventavano brodaglia. Il giovane biondo rideva, la baciava e la baciava, coi pantaloni tirati giù. Si muoveva su di lei come fosse una bambola di pezza senza cuore e senza anima.
"Sei bella, sei bella! " ripeteva, mentre la scopava.
Poi era tornata al suo maso, alla corte di case, con la voglia di andare via da ogni cosa.
Angela Desaco saliva il sentiero verso la chiesetta solitaria degli alpini. Le montagne, tinte di rosa, baciavano il sole. Quel fuoco, la vergogna, bruciava e faceva male. L’amore era un’altra cosa. Voleva dimenticare quelle case di legno, il sapore dei crauti e dei cavoli rossi, la fienagione e il fiato delle bestie nella stalla. Avrebbe fatto la commessa in quel negozio o la cameriera a servizio di ricche famiglie.
"Non bere alla fontèna del omblia, la fontana stregata dell'oblio " le parole dei padre risuonavano nella sua testa.
Non esisteva il misterioso regno di Fanis, i suoi cari avevano mentito. Le montagne erano pietre mute. La morte, quella vista alla chiesa di San Vigilio a Pinzolo, regnava ancora nel mondo. Le montagne erano pietre sorde. Uno scheletro cavalcava un cavallo alato, suonava pifferi e flauti, portava a tracolla una faretra di frecce assassine.
Una pastiglia bianca l’aveva svegliata dalle sue certezze, dai sogni felici.. la felicità oramai era smarrita, persa, finita.
Angela Desco andava a salutare la Madonnina azzurra tanto cara alla nonna, a portarle io fiori raccolti. Quella chiesetta aveva una grande campana che suonava solo in caso d’incendio o d’altro pericolo. C’erano tre panche di legno, un vecchio crocifisso, e la madonnina dagli occhi obliqui grande come un pugno d’uomo. L’orco, il burrone dalle rocce taglienti, la chiamava con uno scrosciare d’acque fredde. Socchiuse gli occhi per far fuggire via i cattivi pensieri.
Si fermò all’ultima corte per riprendere fiato e riposare un poco. I masi, che erano di antiche travi, avevano pareti di legno e tetti in pietra grigia. In quell’alpeggio vivevano tre o quattro famiglie imparentate fra loro. Gente che amava la montagna, la montagna che ora lei odiava. Galline beccavano vermi e granaglie. Una vita semplice e dura, scandita dal ritmo delle stagioni e dai cicli immutabili della fienagione, dallo scampanellio che annunciava il ritorno della mandria dal pascolo. Nella città si viveva in altro modo.
"Non bere alla fontèna del omblia”.
Al crepuscolo la montagna colorata di rosa splendeva come un gigante dagli occhi dolci. Poco più in là, vicino la staccionata dell’orto pieno di verdure e fiori, cinque bambini improvvisarono in girotondo per l’ultimo raggio di sole. Cantavano una canzoncina che conosceva e che parlava dell’acqua che viene giù libera dal monte.
"Ehilà, Angela Desaco, mangia questi canifl 3) appena fritti da mia moglie" disse un uomo alto e robusto, che sembrava un gigante e aveva gli occhi dolci come quelli di un bambino.
"Grazie!"  rispose la ragazza, con un sorriso.
"Ti vedo sempre passare di qui, ogni sabato che vai per tua nonna a portare i fiori alla piccola Madonna degli alpini".
“Sono buonissimi!" disse Angela Desaco.
"Il padre di tua nonna - continuò l'uomo - era un alpino, morì giovanissimo in guerra senza poterla cullare fra le sue braccia".
"Lo so" disse Angela Desaco.
"Farai tardi a tornare a casa, rimani da noi per questa notte".
"Mi potete ospitare ".
"Certo, ne saremo felici"  rispose l'uomo.
"Sono troppo stanca per percorrere la strada del ritorno” sussurrò Angela, guardando la piccola chiesa sull'altura.
"Ti riaccompagnerò io a casa, domani mattina presto " disse Luigi Comploi.
Angela salì l'ultimo tratto dì strada in salita, accompagnata dai bambini che scherzavano fra loro. La luna era già apparsa nel cielo e sfiorava le vette più alte. Un leggero vento muoveva le erbe, i fiori, le stelle del cielo che d'improvviso mostravano un luccichio lontano.
La chiesetta era aperta, la madonnina azzurra degli alpini sembrava aspettare quei fiori.
Il ritorno fu allegro, fra corse e canti, piccole storie, risate e proverbi. I bambini avevano il sole dentro e Angela splendeva con loro. Forse la vita aveva una bellezza segreta, il re dei nani ancora abitava quelle montagne fatate. C'era profumo di fiori nel sentiero.
Mangiò qualcosa con la famiglia di Luigi Comploi e di sua moglie, poi si ritirò nel letto che avevano preparato per lei. La montagna apparve dalla finestra aperta. Guardò più in là della tristezza, della voglia di fuggire. "Non berrò alla fontèna del omblia" sussurrò alla notte. Una cameretta semplice, pulita, tutta per sé. Sentì i due bambini dire la preghiera della sera nella stanzetta vicina e la mamma dare loro il bacio della buonanotte.
"Buonanotte, Angela Desaco " disse anche a lei.
Prima di mettersi col capo sotto le coperte, di prendere sonno, si ricordò un proverbio ladino che diceva il padre quando era triste: "Bianco di stella alpina, rosso di rododendri, alba, alba, vieni nei miei occhi".
La montagna sembrava un gigante dagli occhi dolci, addormentato in una coltre di stelle.

Note:
1 La fontana stregata dell’oblio.
2 La fontana stregata dell’oblio.
3 Piccoli krapfen al miele.
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