Tonio - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Tonio

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XII EDIZIONE - Arcade, 5 gennaio 2007
Segnalato

Tonio

di Maricla Di Dio Morgano - Calascibetta (EN)



Scende quasi strisciando, un paio di salti da una fenditura all’altra, oplà. È fatta. D’ora in poi, il percorso è una cavolata. Mezz’ora più tardi, Tonio, siede davanti alla minestra di ceci. Non è quella che preparava Giulia, si sa. Ma scalda la pancia. Riempie. Sarebbe bastata per calmare i morsi della fame fino all’indomani. Inaudito come il problema “mangiare” fosse sorto, tra gli altri mille problemi e mille dolorosi vuoti, dopo la sua morte. Cucinare. Un incubo! Era brava, lei. Da una patata o un pugno di lenticchie, certi sapori! E lui, che non sapeva friggere un uovo, s’era ritrovato affamato. Giulia! Non ci avrebbe mai creduto che si sarebbe attaccato a quello scricchiolo così tanto. Da morirci dietro, quando se n’era andata. Giulia… Giulia… Giulia. Evocarla, prima di chiudere gli occhi e riaprirli all’alba, era ormai non solo necessaria abitudine, ma una sua trovata per sognarla. Beh, certo, un qualunque psicologo avrebbe dato altre risposte, ma lui c’era arrivato da solo, senza bisogno di lambiccarsi il cervello. Era relativamente semplice e il più delle volte, gli andava bene: la pensava, a letto, prima d’addormentarsi rannicchiato sotto la trapunta blu, tessuta da lei. Così intensamente, la pensava, da vederla quasi. Sentirla…
Il suo odore d’erbe e sotto i polpastrelli, la seta della pelle. Il corpo asciutto, le cosce affusolate come braccia di larice, il seno fanciullesco. Aveva poco più di trent’anni, Diosanto, quando se n’era andata! Trent’anni!... E quel corpo da ragazza, sodo, quasi glabro. Solo una luce ramata sotto le ascelle e il pube. Quanto l’aveva amata! La cercava disperatamente la notte. Bella come forse non era mai stata. L’accarezzava. La possedeva mentre pensava - nel sonno stesso - che tra un attimo si sarebbe svegliato e avrebbe trovato al posto della sua donna, un cuscino strizzato e umido. A volte non c’era sesso, ma solo un ritrovarsi così doloroso e bramato, da spaccarsi il cuore. Lei sembrava tornare da un lungo viaggio con uno sorriso lontano che non le conosceva. Tonio capiva benissimo di quale viaggio si trattasse e la stringeva a sé con tale violenza da sentirla gemere. Spesso s’inerpicavano per i sentieri del Gallo, un costone non altissimo, ma imponente che svettata a cresta prima di un dirupo e s’inabissava poi, sul fianco, sfiorando una valle verde come l’Eden.
Lo chiamavano così, da quelle parti, “ il Gallo”…e tra il cristallo blu delle vette intorno, attraverso un passaggio di strettoie; tra dirupi, oltre la “cascatella”, arrivavano all’antro. Era lì, che s’erano conosciuti nei bui giorni di Resistenza. E anche quella notte, Tonio, la ritrovò ai margini del dirupo e presa Giulia per mano, senza una parola, la condusse dentro...
Si, era lì, che s’erano conosciuti. Lui aveva diciott’anni ed era entrato nel gruppo solo da un paio di settimane. Uno sempliciotto, cresciuto tra le valli e le cortine di roccia delle Alpi. Bravo come pochi a gestire una mandria di vacche e maiali, con padre e madre. Nessun fratello o sorella. Una fortuna - quando i nazisti piombarono alla fattoria e trascinarono via i suoi - che non fosse presente. Proprio quel giorno, quel momento, s’era intrufolato sopra una quercia per cercar di vedere a distanza, una giovenca spersa. E vide tutto. Aveva sentito il motore dei camioncini, ma non aveva avvistato nessuno. Sbucarono netti e improvvisi, dall’altro versante. Era rimasto paralizzato, senza poter fare niente se non star lì, con gli occhi sbarrati. Avevano portato via suo padre e sua madre, uno zio. Tutti quelli che al momento, stavano lì, a mandare avanti l’azienda. L’indomani li avevano fucilati giù, al villaggio, assieme ad una ventina di poveri disgraziati che come loro, avevano dato rifugio ad altri disgraziati. Tonio decise in fretta.
Lasciò la fattoria ad un lontano parente e cominciò a vagare per la montagna. Un gruppo di partigiani - quattro ragazzetti sporchi e macilenti - l’avevano trovato mentre saltellava come uno stambecco tra banchi di gelide nebbie fitte come siepi, ed improvvise tormente di neve. Da un sentiero all’altro, da una rupe all’altra. Gli avevano puntato un mitra. Lui aveva urlato a squarciagola che era salito fin lì per cercare i partigiani e arruolarsi e che aveva lasciato la fattoria perchè voleva vedere neri, nazisti e Mussolini appesi ad un albero. E che voleva un’Italia libera...
- Lo conosco - aveva detto uno dei quattro. - È il figlio del Santi. Li hanno presi quattro giorni fa… Lo avevano quindi spinto maldestramente oltre una piana irta di arbusti. Poi l’avevano bendato. Avevano camminato tra strapiombi e passaggi stretti come cunicoli, e guadato fiumiciattoli, fino a quando Tonio aveva sentito lo scroscio d’acqua. Una cascata.
Ce n’erano a decine, piccole e grandi, nella zona. Conosceva gran parte della montagna come le sue tasche e che fosse una cascata sempre più vicina, ne ebbe conferma quando il fragore aumentò. Subito, vi si trovò sotto. S’inzuppò mezza parte del corpo. Strappò la giacca strisciando contro la parete aguzza della roccia. Alle narici, odori d’erbe conosciute. Poi, il tepore di un luogo chiuso. Un gradino smozzato. Qualche passo e infine, avevano tolto la benda. Era tutto in penombra, ad eccezione del centro dell’antro illuminato da una torcia. Il boato dell’acqua che piombava nel fiume, anche lì dentro, era notevole. In piedi, davanti a lui, se ne stava un uomo piccolo, magro, ma in qualche modo, possente. Investì uno dei quattro che s’era fatto avanti:
-fulatrun, balengo, chi ti ha autorizzato a portarlo qui? Dove diavolo l’hai pescato?
Il ragazzo cercò di tener ferma la voce: - nei dintorni del Gallo. Vuole arruolarsi.
- Lo conosco. Può restare…- una voce si levò oltre la luce, in fondo - È Tonio, il figlio dei Santi… quelli che…- la voce prese corpo. Alto, massiccio, rosso: era Gufo, il capo della brigata.
Cominciò così. Dissero che si sarebbe chiamato Barnaba. Tonio acconsentì con un un’alzata di spalle. Per quello che gliene fregava! Lo chiamassero come volevano. Ai quattro che l’aveva pescato: Schietto, Basso, Urlo e Merlo, venne dato incarico di “istruirlo” e mettergli in mano un fucile. Lui, esperto com’era di montagna, insegnò agli altri una serie di trucchi per muoversi tra le rocce: come rilassare i muscoli afferrandosi con un solo braccio e lasciando dondolare l’altro, e via di seguito. Era un figlio della montagna. La brigata contava un piccolo gruppo di quindici partigiani. Qualche giorno dopo l’arrivo di Barnaba, in piena notte, Basso arrivò con due nuovi: un badogliano e uno di Giustizia e Libertà. Questa fu la sola cosa che Tonio riuscì a capire. I due rimasero una sola notte, parlottando incessantemente con Gufo. Barnaba non seppe mai che si dissero. Una settimana dopo, la brigata, ad eccezione di Barnaba, si trasferì in via provvisoria, dal Gallo ad un rifugio scovato da un gruppo di partigiani che si sarebbero spostati a loro volta, nella notte, per raggiungere Torino. Alla grotta del Gallo sarebbe rimasto lui, fino a nuovo ordine mentre Schietto l’avrebbe raggiunto nel giro di una settimana. Poco prima della partenza della brigata, arrivò Giulia. Una paio di pantalonacci sotto il maglione troppo largo. Una zazzeretta rossa, due occhi da gatta, una cesta con sopra un panno. Il Gufo l’aveva accolta senza sorrisi. La cesta conteneva pane fresco, quattro fette di lardo spesse due dita e un fucile. Giulia aveva un tono basso, arrochito. Alzò l’arma verso il Gufo: - appartiene alla brigata Nord… l’agguato del… tredici… ci sono rimasti secchi quattro dei nostri. L’ha trovato mio cugino…  è tutto ciò che siamo riusciti ad avere di loro…
- Li avranno seppelliti da qualche parte… - aveva aggiunto qualcuno. Gufo s’era messo a bestemmiare scalciando come un mulo e sollevando in aria sgabelli e vettovaglie. - coj fieuj pien ed vita… - Giulia l’aveva lasciato sfogare.
- Me l’ha consegnata mio cugino... “può sempre servirti” m’ha detto… io sono salita appena ho potuto. C’era un certo orgoglio nel modo di porgere il fucile a Gufo. Oltre a pane e insaccati, nella cesta spiccavano due fiaschi di vino. Avevano bevuto tutti e Barnaba, astemio, non s’era tirato indietro. Bevve e quasi subito vomitò, ringraziando il Padreterno che gli altri fossero appena andati. Si stese sul pagliericcio piombando in un sonno strano, fatto di sussulti e brividi di freddo. Non badò neanche alla ragazza. E fu con stupore che se la trovò accanto svegliandosi. Si accorse subito che il giaciglio dove si era buttato, era rimasto l’unico della grotta. Giulia dormiva. Alla luce fioca della fiaccola era bella come una madonna, malgrado quella zazzera rossa e la faccia escoriata in più punti. Giulia si svegliò, come se avesse sentito, sulla pelle, lo sguardo. Non capirono mai come si trovarono l’uno addosso all’altro. Rabbia. Furore. Una necessità scaturita dal posto, dal momento. Da quell’essersi ritrovati soli. Dalla paura di non vedere il giorno. Come bestie. Creature senza Dio. Senza scrupoli e pudori. E allora, così: senza veri baci e veri abbracci. Così, un’esigenza. Uno sfogo. Un esorcizzare quel lurido istante di vita impastata d’odio e paura e in cui ogni cosa deformata dall’incertezza di un giorno nuovo, diveniva la strana dimensione dell’improbabile, dell’incognita. Del “provvisorio”. Poi, l’uno contro l’altro, tornarono a riposare nella luce obliqua del fuoco. Nel mormorio interrotto dell’acqua. Due mesi dopo, Barnaba, l’aveva “sposata.” Al gruppo si era infatti aggiunto un giovane prete scappato dalle mani dei nazisti per un pelo. In due mesi aveva messo in salvo quaranta ebrei. Il prete aveva benedetto la loro unione e loro s’erano sentiti in tutto e per tutto, marito e moglie.
In quel mese, era nata una storia, tra loro. E un sentimento. Ora, nei loro amplessi, c’era qualcos’altro, quindi, oltre la paura e il dolore e la rabbia e la necessità. E facevano l’amore anche con gli occhi. Uno sguardo, un gesto, un sorriso nascosto mentre gli altri parevano distratti. Giulia non aveva lasciato più la grotta ed era divenuta - lei, così minuta e fragile - un punto di riferimento per tutti. Non solo le faccende, il ripulire alla buona l’antro, i vestiti, le quattro stoviglie, ma tutto ciò che rimaneva dei ricordi buoni, delle buone cose: un sorriso, una carezza.
La complicità delle donne, quel saper capire, e lenire i momenti più duri, e curare una ferita o dar consolazione ad uno che tirava le cuoia. Aveva anche accompagnato Barnaba nelle escursioni ed agguati e una volta che beccarono uno squadrone di neri, sparò anche lei, vicino al suo uomo. Se la cavarono, ma quel giorno di sangue e grida, restò negli occhi di tutti e due, insieme ad un’angoscia che non aveva nome.
Quel fine aprile del ‘45, scesero tutti dalle montagne con le mani sporche di sangue e la dolente gloria d’aver combattuto per la libertà. Scesero dopo notti d’agguati, giorni di torbido terrore, pomeriggi d’attese infinite. Dopo aver ucciso senza il tempo d’un amen e dopo aver sepolto i loro compagni dai petti squarciati. Dopo aver dormito sotto coltri di stelle e aver brindato con fette di luna che pareva succhiarli e trasportarli oltre tutto l’orrore del mondo. Dopo aver maledetto Mussolini e i suoi neri, e nazisti e chiunque avesse usurpato la libertà, la dignità di quei poveri italiani che non avevano più occhi per piangere e bocche per sorridere. Scesero con la mente sconvolta dall’ansia, con i polmoni squassati da tosse e sputi di sangue. Scesero dai monti. “…l’è finì la guera...” Si mormorava tra i gruppi affamati, sfiancati. Non parevano così felici come avrebbero dovuto…
Tornarono alle loro case. Alle città, alle campagne, a madri e padri, moglie e amanti, per riprendersi quell’Italia tormentata e avvilita. Soltanto Barnaba e Giulia non vollero scendere. Rimasero lì, sui monti. Non avevano niente, oltre quella montagna. Non avevano altri nemici da combattere. Tutto s’era colmato. Vendette, odi. E non avevano neppure forza e voglia di darsi da fare per rimettere su quel mondo squassato. Non avevano voglia di capire ciò che occorreva fare, adesso, né di lottare sia pure senza armi. L’unica cosa che possedevano, e di cui avevano coscienza, di cui avevano voglia, era quel loro sentimento. E timidamente, provarono a chiamarlo “amore”. Ritornarono alla vecchia fattoria. Barbana tornò ad essere Tonio e Giulia mise una gonna a fiori. Ci vissero per oltre dieci anni, in quella fattoria tornata viva, con belle mandrie e ciclamini davanti l’uscio...
Ma Giulia, un mattino, non tornò dal campo con le sue patate nel cesto e l’insalata primaverile che sapeva di terra e rugiada. Tonio la trovò così, stesa con la faccia al sole, quasi a voler rubare l’ultimo raggio.
Tonio accende il fuoco del camino di pietra e vi appende il paiolo. Luce rossa si spande per le pareti di legno, le travi nere del tetto. Un ceppo scivola giù e il fumo per un minuto, scivola oltre la bocca del camino. Tonio tossisce, raddrizza il tronco e le scintille zampillano come schizzi d’acqua color rubino. Un po’ di polenta, questa sera, andrà più che bene.
Ha passato il giorno a segare legna, mungere vacche. Tra breve sarà così scuro da non vedere il recinto. Brutta notte, quella con quel cielo gonfio da scoppiare. Ma la montagna si bea, accucciandosi sotto lo spessore della neve.
Lui pensa che tra poco sarà nel grande letto con la trapunta blu.
Solo tra poco, ritroverà Giulia.
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