Secondo 28 - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Secondo 28

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna:  le sue genti, le storie di ieri e di oggi”

XXVIII EDIZIONE Arcade, 5 gennaio 2023
Secondo classificato

LIBERAZIONE

di Tormen Katia
Borgo Val Belluna (BL)
 
 
Bill alzò di scatto la testa puntando il muso verso la porta. Pochi secondi dopo anche Bruno sentì il rumore e sbuffò. L’inconfondibile ronzio della vecchia Panda col motore perennemente fuori giri era come un biglietto da visita. Valutò di far finta di non essere in casa, ma tenere buono il cane era un’impresa al di sopra delle sue capacità: stava già davanti alla porta, uggiolante e con la coda che spazzava l’aria a ritmo di samba.
La piccola auto entrò nello spiazzo di ghiaia a velocità sostenuta e finì la sua corsa a pochi centimetri dall’enorme gelso, di fianco alla stalla. Don Gino uscì in uno svolazzare di tonaca nera e si avviò verso la casa con la sua andatura un poco claudicante. Bruno, che aveva osservato la scena dalla finestra, cacciò una bestemmia a mezza voce prima di aprire la porta e lasciare che Bill corresse incontro all’ospite riempiendogli l’abito talare di impronte bianche.
«Stai giù! Giù ho detto! Buono Bill, buono… toh prendi!» Il prete prese dalla tasca un biscotto che allungò all’animale.
«Don Gino, glielo ho detto mille volte che i dolci gli fanno male!»
«Conosci un altro metodo per togliermi di torno questo demonio? Secondo me lo hai addestrato apposta, anzi ci stai ancora lavorando perché so che il tuo scopo è farmi sbranare!»
«Quel cane la adora, o almeno lo farà finché gli porta il regalino!»
Il prete si pulì alla meglio con le mani, mani che poi piantò sui fianchi accentuando ancor più la pancia prominente, prima di profondere in un lungo, accorato sospiro.
«Bruno Bruno…Allora? Cosa hai pensato?»
«Ho pensato che potremmo sederci sotto la pergola, visto che entrambi non siamo più ragazzini e stare qui in piedi sotto il sole non ci fa bene. Porto un poco di vino?»
«No niente alcool, un bicchiere d’acqua andrà benissimo!»
Il prete si avviò verso la tettoia ombreggiata e Bruno rientrò in casa. Avrebbe potuto farlo entrare, ma si vergognava delle ragnatele sugli angoli che ormai faticava a raggiungere con la scopa e dei piatti di due giorni ammucchiati nell’acquaio. Soprattutto non voleva che Don Gino trovasse qualcosa alla quale appendersi per tirare acqua al suo mulino, suo e di tutti quegli altri rompiscatole che periodicamente arrivavano lassù con la scusa di controllare il suo stato di salute.
Riempì la caraffa sotto al rubinetto e posò su un vassoio due bicchieri spaiati.
Il prete non lo lasciò nemmeno sedere prima di tornare alla carica. «Allora?»
«Allora niente, la penso esattamente come l’ultima volta. La mia idea resta quella e non c’è niente che lei o quelli che la mandano qui possiate fare per farmela cambiare»
«Sei sempre il solito vecchio testardo!» Asserì il chierico riempiendosi il bicchiere, poi si appoggiò allo schienale sbuffando e si chiuse in un rassegnato mutismo.
Non erano trascorse nemmeno due settimane dal giorno in cui si era ritrovato ad essere l’unico abitante di Mezzavalle quando il suo pisolino pomeridiano era stato interrotto dall’arrivo di tre fuoristrada da cui erano scesi una decina di uomini, alcuni dei quali in giacca e cravatta, che avevano cominciato ad aprire grandi fogli sopra i cofani e ad indicare prima a destra poi a sinistra. Lui era rimasto sulla porta a tenere Bill per il collare fino a quando non aveva visto il sindaco del paese venire nella sua direzione. Allora aveva lasciato la presa e trattenuto a stento le risate nel vedere i tentativi impacciati dell’uomo per tenere distante l’animale.
«Ciao Bruno!»
«Signor sindaco…»
Il primo cittadino aveva atteso che gli chiedesse conto di quell’invasione, ma il vecchio non aveva proferito parola. La cosa aveva messo l’altro a disagio.
«Ti chiederai cosa ci faccia quassù tutta queste gente…»
«In realtà non me ne frega un accidente!»
«Ah…ehm…beh, ecco non so se sai che Ernesta ha lasciato tutto alla Chiesa…»
Certo che lo sapeva, quella vecchia rompiscatole non aveva mai fatto mistero delle sue intenzioni con nessuno. Soprattutto con quel pover’uomo di Luigi, che se l’era sposata cinquant’anni prima e col quale andava d’accordo come il cane col gatto: “se muoio dopo di te lascio tutto ai preti!” gli ripeteva ad ogni battibecco.  E nonostante tutto lasciasse presagire che la prima ad andarsene sarebbe stata lei, afflitta da mille acciacchi, era stato Gigi un bel mattino a non svegliarsi più. Lei l’aveva presa malissimo, in fondo era lui che, nonostante l’età, andava in paese a far la spesa e la scarrozzava a destra e a manca. Subito dopo il funerale gli assistenti sociali erano venuti a prendersela e l’avevano sistemata in casa di riposo, dove Ernesta aveva avuto però vita breve. I due non avevano avuto figli e i parenti rimasti non avevano nessun interesse in quella vecchia casa trascurata situata in un posto che non compariva nemmeno sulle carte stradali. Quindi la Curia era diventata proprietaria dell’immobile e lo aveva girato subito al Comune in cambio di qualche favore di non meglio precisata natura.
A qualcuno poteva sembrare incredibile, ma le notizie arrivavano fin lassù!
«Contenta lei…A me don Gino sta simpatico, ma non gli lascerei neanche la cuccia di Bill!»
«Ecco, no, infatti…Noi avevamo pensato che…»
«Noi chi?»
«Noi…l’Amministrazione…Io, il Vice, i servizi sociali, anche il Don…che sì, insomma, adesso sei proprio rimasto l’unico quassù e non sei più un ragazzino…»
«Non sono da solo, ho il mio fedele amico qui ed entrambi stiamo benone!»
«Senti Bruno, inutile girarci intorno, ti dico come stanno le cose: ci sono imprenditori esteri che hanno deciso di investire in questo posto, un’operazione che porterebbe nelle casse un sacco di soldi coi quali potremmo sistemare l’acquedotto, ampliare il cimitero e diminuire le rette dell’asilo nido e…»
«Investire per farci cosa?»
Il sindaco aveva spostato il peso da un piede all’altro guardando a terra.
«Un hotel di lusso con piscina, spa, ristorante stellato…Roba per gente ricca, porteranno il nome del nostro paese in giro per il mondo! I nostri ragazzi potrebbero avere un lavoro qui invece che andare via…»
«E quindi cosa volete da me? La mia benedizione? Beh, non la avrete mai!»
«No Bruno, ci serve la casa.»
Il vecchio aveva fissato l’uomo che gli stava di fronte con l’aria di non aver capito bene. Aveva aperto  la bocca per parlare ma l’aveva richiusa subito.
«Ovviamente otterresti in cambio un sacco di vantaggi: uno dei nuovi alloggi nella residenza per anziani! Avresti la tua indipendenza ma pasti garantiti tutti i giorni! Caldo in inverno senza dover far legna, fresco in estate, il medico a portata di mano e soprattutto un po’ di compagnia»
«La compagnia che ho mi basta» disse il più anziano posando una mano sulla testa del cane «Per me la conversazione si chiude qui e spero che non ti venga mai più in mente di riaprirla in mia presenza. Ah, sta pure tranquillo che io non lascio tutto alla Chiesa, ma ho alcuni pronipoti sparsi per il mondo e mi premurerò di avvisarli del vostro interesse per questa baracca»
Aveva fatto entrare il cane e chiuso la porta sulla faccia allibita dell’uomo.
 
Mentre Don Gino restava chiuso nel suo silenzio, forse pensando a come precedere nella sua opera di persuasione, Bruno girò lo sguardo sul paesaggio che lo circondava, lo stesso che vedeva da più di 80 anni ma che lo affascinava sempre. Non si era mai mosso lì, se si escludeva l’anno di naja trascorso tra montagne ancora più alte di quelle che stavano sopra la sua testa, ma sentiva che quel mondo gli bastava, che era il suo mondo e non aveva rimpianti per non aver mai visto il mare, Roma o Parigi. Era rimasto lì mentre intorno a lui tutti se ne andavano, i giovani in cerca di fortuna e i più vecchi al camposanto. Era rimasto lì a badare prima ai genitori e poi agli animali senza alcuna invidia per i due fratelli che erano emigrati all’estero e lì avevano messo su famiglia. Era rimasto lì a far compagnia a Mario, il fratello più vecchio, che vecchio però non era diventato mai.
«Bruno, ascolta» La voce del prete quasi lo spaventò «Devi smetterla di lasciare che il cuore abbia il sopravvento sulla mente. Non hai più l’età per i sentimentalismi, è il tempo di essere calcolatori, di pensare a percorrere la strada che rimane in modo semplice e con meno fatica possibile»
Quando faceva tutti quei giri di parole per esprimere concetti semplici, non lo sopportava.
«Insomma mi sta dicendo di pararmi il culo per il poco che mi resta da vivere!»
«Non è il caso di essere così volgari, Bruno!»
«Senta Don, mi sembrava di essere stato chiaro fin da subito, quindi la dovete smettere di venire fin quassù con le scuse più improbabili a tentare di convincermi. Fin che avrò vita non mi sposterò da qui e ho già fatto in modo di rendervi la vita difficile anche dopo!»
«Ma ti rendi conto vecchio testone che qui non c’è più nulla che richieda la tua presenza? Sei rimasto da solo, qui, in mezzo al nulla e non ti accorgi che il tuo, che spacci per amore della tua terra, è solo puro egoismo!»
Bruno si alzò in piedi battendo le mani sul tavolo.
«Egoismo?»
«Certo caro mio, in primis perché non pensi alle spese che la comunità deve sostenere per te, per farti venire il medico due volte al mese, per gli assistenti sociali che ti portano in paese a ritirare la pensione e a fare la spesa, per gli operai che devono spalare la neve in inverno e rattoppare le buche in estate! Per tutti i ragazzi che con l’hotel avrebbero un lavoro vicino casa senza doversene andare chissà dove… Ma tu no, tu devi fare il paladino degli uccellini e il difensore degli abeti, perché? Cosa pensi di ottenere?»
La voce del sacerdote era alterata e il suo sguardo severo. Bruno non si aspettava un simile atteggiamento da un uomo di Chiesa che, sebbene fosse un luogo che lui non frequentava da tempo, gli riportava alla mente parole come conforto, carità e comprensione e qui non ne vedeva l’ombra. Tornò a sedersi.
«Don Gino, lo sa come si chiama il mio cane?»
«Certo, Bill!»
«E quello che avevo prima di Bill?»
«Sempre Bill…»
«E quello che c’era prima ancora?»
«Non lo so, sono qui da dieci anni, mica da secoli…»
«Anche quello si chiamava Bill! Milo è morto quando avevo 9 anni e tutti i cani che sono venuti dopo di lui si sono sempre chiamati Bill. Lo sa il perché? Glielo hanno raccontato?»

Mario conosceva le montagne sopra Mezzavalle come le proprie tasche. Le aveva girate in lungo e in largo da ragazzino, quando i genitori lo mandavano durante l’estate a badare alle pecore; sapeva la posizione di ogni grotta, di ogni landro, di ogni baracca, perciò gli parve naturale, all’indomani dell’armistizio, unirsi al gruppo di partigiani che su quei ripidi versanti si nascondevano per organizzare la resistenza. Ogni tanto, col buio, alcuni di loro scendevano in paese in cerca di cibo e vestiti. Non andavano tanto per il sottile, la fretta e la paura dettavano i loro movimenti, per questo alcuni abitanti della borgata non li vedevano di buon occhio ed anzi ne erano spaventati. Bruno invece era affascinato da quei ragazzi che si facevano chiamare con nomi strani, “Bill”, “Sam”, “Grinta”, “Falco” … e per i quali sua madre preparava minestra calda a notte fonda. Avrebbe voluto seguirli nei boschi, ma Mario gli aveva vietato categoricamente di farlo perché li avrebbe messi in pericolo. Lui lo adorava e il pensiero che potesse capitargli qualcosa lo terrorizzava, quindi aveva sempre obbedito all’ordine senza fare tante storie. Perciò il giorno in cui “Bill” aveva visto “Sam” correre su per il sentiero col ragazzino in braccio, aveva capito subito che era successo qualcosa di grave.«Sono arrivati i tedeschi in paese, hanno radunato tutti in piazza e hanno mandato me a dirvi che se non vi consegnate ammazzano tutti. Erano convinti che io sapessi dove trovarvi, ma in realtà non ne avevo la minima idea e così mi sono perso.» aveva detto Bruno fra i singhiozzi davanti al fratello. Questi non aveva avuto tempo di consolarlo. «Ci hanno fregati!» aveva sibilato “Grinta” imbracciando il fucile e puntandolo verso il bosco da dove una guarnigione di soldati tedeschi stava uscendo a passo di marcia. Mario aveva appoggiato due dita sulla canna e gli aveva fatto abbassare l’arma scuotendo la testa. Inutile scappare, inutile resistere.
«Ci arrendiamo, ma lui dovete lasciarlo andare!» aveva gridato all’indirizzo del nemico per poi accucciarsi di fianco a Bruno «Ti hanno seguito, ma non sentirti in colpa. Ora vai, scappa, torna in paese e non muoverti da lì»

E lui così aveva fatto, non si era più mosso da Mezzavalle.
Gli capitava ancora di svegliarsi di notte col rimbombo degli spari nelle orecchie e il cuore che gli scoppiava nel petto come quel giorno, quando correva tra gli alberi per scappare dall’orrore.
Furono undici i ragazzi che la mattina dopo le donne del paese portarono pietosamente a valle per adagiarli nelle buche che i vecchi avevano scavato sul lato destro del piccolo cimitero. Mentre guardava la terra ricoprire il volto del suo adorato fratello, Bruno aveva giurato che per quanto in suo potere anche lui avrebbe dato la vita per difendere quel mucchio di case e chi le abitava.
Per i morti di Mezzavalle non erano stati eretti monumenti né celebrate commemorazioni e di loro si era persa memoria man mano che il tempo si era portato via chi ancora la conservava. Da difendere ormai erano rimasti solo i muri e i ricordi, ma lui avrebbe lottato anche per quelli, per quei muti testimoni di un passato che non doveva e non poteva essere cancellato.
 
Il prete era sprofondato sulla sedia e guardava fisso il bicchiere vuoto. Si sentiva improvvisamente piccolo di fronte a quel vecchio che per una vita aveva tenuto fede alla sua promessa e si vergognò per non essere stato in grado di fare altrettanto, per aver permesso che la carità e la comprensione venissero messe in disparte, piegate da interessi materiali.
Si alzò, si avvicinò all’auto e solo prima di salire alzò la testa verso Bruno, che se ne stava a testa bassa, svuotato.
«Ci parlo io col sindaco, vedrai che nessuno verrà più a disturbarti»
«Neanche le assistenti sociali?»
«Si, quelle si» Don Gino abbozzò un sorriso «E anche gli operai comunali!»
Chiuse lo sportello, mise in moto e partì veloce alla volta del paese.
L’ululato del motore fece il pari con quello che proruppe improvviso dalla gola di Bill e che a Bruno riportò alla mente quell’ urlo di liberazione che aveva udito arrivare dalla valle in quell’aprile del ’45.

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