Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XXI^ edizione - Arcade, 5 Gennaio 2016

per un racconto sul tema:

"La Montagna:le sue storie,le sue genti,

   i suoi soldati i suoi problemi di ieri e di oggi"

SEGNALATO

                                              SOTTO LO SGUARDO DELLA LUNA

                                                                 di DANIELA EMMI

                                                                        BELLUNO

 

 

Ho sciolto la treccia adagiando la chioma sulla spalla destra, come piace a te, e mi accingo a scriverti, come promesso.

Da quando sei partito per il fronte, amore mio, tutte le azioni che compio hanno impresso il tuo ricordo, le tue volontà e le promesse che ci siamo fatti, tra lacrime e sorrisi, nell’ultimo abbraccio. Sento ancora forte l’odore della tua pelle e la struggente tenerezza con la quale mi hai stretta a te.

La promessa di scriverci per raccontarci tutto, indipendentemente da quanto cruda possa essere la nostra esistenza, è molto pesante da mantenere, ma coerente con noi stessi, con il coraggio della nostra unione. Nel bene e nel male, ricordi? L’esigenza di condividere ogni istante della nostra vita, diventa ancora più significativa se penso che domani potrebbe essere l’ultimo giorno che vediamo il sole. Un piccolissimo angolo di consolazione, nell’enorme dolore, sarebbe venire a sapere qualcosa di noi, cosa abbiamo detto o fatto nel giorno del distacco.

La guerra ci ha divisi con duecento chilometri di solitudine ma , lo voglia Iddio!, niente e nessuno riuscirà a separare le nostre anime. Di questo ho certezza, mio amatissimo, perché ti vedo accanto a me come ombra fedele, ti sento come angelo discreto che sussurra al mio orecchio.

Questa mattina, mi sono resa conto di fare le cose nella stessa maniera in cui le facevi tu: ho acceso il fuoco sovrapponendo quattro croci di ramoscelli sottili, raccolto le ortiche alle prime luci dell’alba, dato da bere prima ai conigli, poi alle galline. Non so, se è per insicurezza che ripeto i tuoi gesti, o per sentirti meno lontano.

Dovermi occupare delle faccende che prima svolgevi tu, è una responsabilità che mi pesa. Non tanto perché arare, seminare, raccogliere sono azioni che spaccano la schiena. Nemmeno perché le mani si tagliano e sanguinano a causa della pelle secca. E’ la paura di sbagliare che mi toglie le forze. Non saper leggere i segni della natura, può voler dire perdere un intero raccolto, far morire una bestia, avere alberi che non fruttificano l’anno dopo.

Tu, invece, conosci la forza del vento, studi il movimento delle nuvole per capire se la pioggia arriverà, e da quale parte. Ascolti il canto degli uccelli, osservi il volo delle api. Tocchi il muschio, le cortecce e le radici degli alberi per sapere che tempo farà. Io, te lo confesso, ti ho sempre ascoltato quando parlavi di queste cose, ma con la pazienza di una brava moglie. Se solo avessi saputo che da un giorno all’altro le nostre vite sarebbero cambiate così radicalmente, sarei diventata la tua miglior discepola.

Talvolta piango in silenzio, talvolta salgo sul colle e grido il tuo nome con tutto il fiato e la rabbia che ho in corpo. Poi mi vergogno, mi pento, mi sento ingiusta nei tuoi confronti: non hai scelto tu di fare la guerra, di partire lasciandomi sola con due figli e tuo padre da accudire.

Nelle tue ultime lettere, è chiara la situazione di rischio e di disagio che vivi quotidianamente in trincea. Ma quello che ho percepito, e mi affligge maggiormente, è che ti senti segregato dal mondo, in colpa per essere partito.

Sappi, mio carissimo, che il tuo valore di uomo e la tua dignità, non sono annullati nella passività di quei momenti in cui devi stare fermo e zitto aspettando gli ordini prima di un attacco. Il tuo sacrificio, la tua capacità di adattamento e di sopportazione, meritano tutto il mio rispetto e la mia protezione. Sei il mio uomo forte e coraggioso, anche quando ti senti fragile e debole.

Non pensare alla tua famiglia con preoccupazione, pensa a noi solo per mantenere vivo il desiderio di rivederci. Mantieni forze e concentrazione per proteggerti, per avere cura di te, per quanto ti sia possibile. Non voglio che ritorni un eroe, ma marito e padre.

Per rassicurarti ti dico che , nonostante in paese siamo rimaste solo donne, bambini ed anziani, tutti ci aiutiamo a vicenda, in un accordo spontaneo stipulato con i fatti, non con le parole. Pensa che la Maria (quella scorbutica che non parla con nessuno), oggi è venuta a darci una mano per spostare i covoni di fieno e i sacchi di grano. Il parroco da una settimana conforta la Nina che piange sua figlia Rosetta, partita come aiuto infermiera e morta avvelenata dal contatto con i soldati gassati. Don Mauro, inoltre, scrive cartoline e lettere per chi è analfabeta, benedice i campi, le bestie e recita il rosario con i bambini più piccoli, raccogliendo erbe selvatiche e rami secchi.

Ettore, il figlio rachitico della Berta, insegna a noi donne ad usare le macchine agricole e si occupa della compravendita dei prodotti. Da quando suo padre e i suoi fratelli sani sono stati chiamati alle armi, lui sembra molto diverso, persino più bello. Ha buone capacità amministrative, ma è la situazione economica ad essere tragica.

Il costo della vita lievita più del pane, i salari e i sussidi statali non bastano più per mangiare, comprare lana, pagare l’affitto, mandare i bambini a scuola. Il prezzo dei fagioli secchi è quintuplicato e scarseggiano le farine, l’orzo, lo zucchero. Noi siamo ancora fortunati ad avere tre galline! Con due uova, l’erba raccolta nel prato e qualche buccia di legumi bollita, riesco ancora a fare una frittata per tutti e quattro.

Mi preoccupa la figlia della signora Agnese. E’ tornata da Torino con una colorazione gialla in viso che desta preoccupazione. Dice di non sentirsi bene da quando l’hanno spostata dalla fabbrica tessile, a quella di munizioni. Non credo siano state le tante ore di lavoro a ridurla così, e nemmeno gli sforzi fisici. Avrà respirato aria malsana! Con poco fiato, mi ha raccontato della grande città.

Ha detto che le donne borghesi sono entusiaste della guerra, che organizzano spettacoli di beneficenza e lotterie per raccogliere denaro e mandare regali ai soldati al fronte. Con delle cassettine tricolori al collo, fanno la questua sorridendo e vendendo baci. Sono convinte che la guerra sia un bagno di sangue necessario per rigenerare la stirpe, che porterà denaro e innovazioni.

La verità è che i loro mariti, i loro figli, i loro padri, non sono partiti per combattere. Essi occupano posti da dirigenti, tecnici e politici. La puzza della morte la sentono da lontano!

 

Ti ricordi Virginia, quella mia cugina che fa la maestra a Como? Mi ha scritto che le nuove direttive ministeriali impongono l’insegnamento di che cosa sia la patria, come la si onori, come si diventa un eroe di guerra. Al posto di Pinocchio, deve leggere articoli che parlano di ciò che accade al fronte, delle armi utilizzate, di aeroplani e di esplosivi. Mi scrive che nelle vetrine dei negozi di giocattoli si vedono sempre meno orsacchiotti e sempre più imitazioni di mortai, fucili e cannoni. I suoi alunni giocano alla guerra, anziché saltare la corda.

La cosa più sconcertante, è che Virginia deve segnalare i casi di bambini poco sensibili a questo entusiasmo bellico.

Quassù in montagna c’è più ignoranza, più miseria. Lottiamo quotidianamente per la sopravvivenza con un lavoro sfiancante. Riposiamo in case miserabili e fredde, ma abbiamo ancora il buon senso per capire che guerra è sinonimo di croci, orfani, vedove, pianto e mutilazioni. Tutto frana a valle, ma non la forza morale che ci fa resistere.

 

E io resisto per te, amato caro.

Per i nostri figli, per noi, per il sogno di vederci ancora insieme.

In questa notte di San Lorenzo, se vedi una stella cadente trafiggere il cielo, sai qual è il desiderio che ho espresso.

 

Domenica, tornando dalla santa messa, la piccola Sara mi ha confidato il suo segreto. Tutti i giorni mette un sassolino dentro al secchio riposto dietro alla legnaia, così, quando tu tornerai, saprai esattamente quanti giorni sei stato lontano da noi e quanti baci lei ti ha mandato ogni sera. Mentre nostra figlia parlava, la fossetta sulla sua guancia destra, aveva gli stessi movimenti della tua. Ti assomiglia sempre più e io mi sciolgo di emozione nel vederla crescere fresca e imprevedibile come una giornata di primavera.

Luigi, invece, da quando sei partito, ha cominciato a tartagliare. Adesso si vergogna e parla pochissimo. Sono fiera di lui. Mi aiuta tanto in casa, quanto al pascolo. Ha ereditato la tua manualità e precisione nel fare le cose. Quando glielo dico, stringendolo forte, i suoi occhi si fanno umidi.

Manchi a tutti noi in una maniera incommensurabile! Anche a tuo padre, che non ti nomina mai, ma guarda sempre fuori dalla finestra se torni.

Due sere fa, sono scesa in cucina in piena notte con il dubbio di non aver chiuso la porta. Ho sorpreso tuo padre seduto fuori, sotto la pergola, intento a guardare una foto di te che lo abbracci. Non si è nemmeno accorto della mia presenza, mentre io, ho capito che stava piangendo.

Sempre burbero e autoritario, con la fronte crucciata e i pugni chiusi, in quel momento non sembrava tuo padre. Mi ha fatto tenerezza.

Questa guerra assurda, traccia solchi di dolore ovunque. Anche nei cuori apparentemente insensibili. Non sono riuscita a dormire quella notte. L’alba mi ha sorpresa a rivivere l’ultima immagine che ho di te.

Stavi guardando la profondità della valle e i profili delle vette che brillavano nitidi nell’aria purissima. A piedi nudi sull’erba bagnata, guardavo i tuoi muscoli fremere dalla voglia di camminare lungo il sentiero che porta al rifugio. Mi hai chiesto un caffè bollente mentre ti infilavi gli scarponi. La tua pelle sudava di piacere e i tuoi polmoni si riempivano di foschia. Poi ti ho visto avanzare in silenzio inoltrandoti nel bosco, accompagnato da un sottofondo di suoni che si sovrapponevano come in un’orchestra: lo scricchiolio dei rami secchi sotto il passo deciso, il rotolare dei sassi quando ti scivolava il piede, il frusciare delle foglie sulle cosce in tensione.

 

Lo so che gli scarponi che indossi adesso non sono i tuoi fedelissimi compagni di scalata. So che non ti portano a provare quella sensazione – che tu cercavi inutilmente di descrivermi - di “appartenenza totale alla natura che ti pullula intorno”. So anche, che non sorridi più. Ma giurami che non perderai la speranza di ritornare da me e dalle tue montagne.

 

Alla sera, pur stremata dalla fatica, quando entro nella nostra camera lascio fuori il mondo e rivivo, con il ricordo, la nostra intimità.

Mi spoglio e mi lavo lentamente, come se stessi compiendo un rito sacro.

Indosso la camicia da notte che hai carezzato l’ultima volta che ti sei avvicinato a me, e inspiro profondamente l’odore del tuo piacere.

Ti vedo la mattina, quando prima di alzarti mi coprivi le spalle nude con le lenzuola. A pranzo, quando passandomi l’acqua mi sfioravi con la mano, con uno sguardo complice di desiderio. Di notte, quando nelle tue mani calde abbandonavo ogni resistenza.

Più ti immagino qui, più il battito del mio cuore si fa sentire, si confonde con il frinire delle cicale. Il mio respiro è profondo, i miei occhi si chiudono, il desiderio ti raggiunge.

Al tuo ritorno, ti prometto, avrai baci, carezze e passione centuplicati per il numero dei giorni che non ci siamo vissuti. Ti amerò profondamente, intensamente, con la generosità di un corpo che ti ha tanto aspettato.

 

Non so, sotto quale cielo dormirai stanotte, ma so che è lo stesso cielo che sto guardando io. Ed è lì che mi troverai: sotto lo sguardo della luna.

 

 

                                                                             Tua Angelina