Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XVIII^ edizione - Arcade, 5 Gennaio 2013

per un racconto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

Terzo classificato

                                                                      "STELLA"

                                                       di MAZZON RITA PADOVA

  

Si fa presto a partire. Fare la valigia. Mettersi in contatto con le cose. Piegarle con cura. Stiparle per non pensare. Come se si volesse scaraventare nel buio un giorno, un'ora, per non ricordare.

Basta però che occhieggi un piccolo lembo di stoffa da quell'involucro chiuso. Basta che si intraveda un segno che sia in contrasto con il buio. Ecco che tutto ricomincia. Si spacca il baule della dimenticanza. Si spacca il quieto vivere. Si rattoppano i buchi neri della propria vita.

Si vive al buio per non lasciarsi scalfire dagli spigoli di oggetti acuminati, che provvedono sempre a farci ricordare. Questo è il loro unico scopo che diventa una specie di maleficio.

Vivere in penombra fa meno male? Nello scuro le cuciture sono malfatte. L'ago non ha più la presunzione di forare il punto giusto. Si inceppa il filo in disordinati strappi intervallati da grumi di giorni, che si annodano. Non scivolano sulla pelle. Rimangono attaccati alle curve del corpo. Non rendono bene il concetto di vita. Stanco te ne stai in un angolo ad aspettare con la valigia chiusa, ma sai che non partirai mai. Sai che non andrai mai via.

La porti dentro di te l'assenza. Non hai più voglia di camminare. Disfare, imbastire di nuovo in altro modo i tuoi momenti.

Ora Stella si fa un nodo al fazzoletto. Non fugge più.

Nella vecchiaia i ricordi chiazzano di sfuggita il telo grigio degli anni. Non hanno una cronologia da calendario. Si impasticciano. Sono pavidi. Sanno di muffa. Sanno di qualcosa andato a male. Rendono rancidi i pensieri. Li fanno arroganti. Sono sassi che increspano, fanno in mille pezzi la superficie dell'attempato scorrere di una vita.

La valigia si è rotta. Anzi rimpicciolita. I particolari sbiancati dalla candeggina della solitudine. I silenzi raccolti a piene mani.

Per una voglia di non rispondere, lei rimane muta a vagare nella nebbia delle ultime stagioni.

Ormai Stella vuole solo ascoltare. Ha già detto tutto. La sua vita è una copia sbiadita senza più interessi, senza più inchiostro per le troppe volte che l'ha raccontata.

Sta zitta, ma rumina dentro. Le labbra ogni tanto si muovono in un tremito. Forse si potrebbe anche riconoscere un sorriso trattenuto, che sfocia nell'espressione leggera degli occhi. Occhi, che riemergono dalla vacuità liquida e sembrano voler dire qualcosa.

Deglutisce invece aria. Ingoia un vissuto ritrito, sminuzzato, perché non ha denti per masticare bene lo sgomento della sua vita.

E' lì seduta sulla sedia a rotelle. Conserva il portamento altero anche se spesso si volta intorno con la testa, come a chiedere scusa. Con gli occhi supplici di chi non vuole stare sola. Gli anni l'hanno infossata. L'hanno resa una foglia fradicia caduta in un torrente. Seviziata, rattrappita. Le ossa spavalde fanno assottigliare la pelle. La rendono trasparente. La fanno sbiancare come una carta velina raggrinzita.

La memoria è sempre lì in agguato. Un animale finito nella tagliola. Lei vuole soccorrerla. Vuole aiutarla a liberarsi, ma in risposta la memoria morde, perché ha paura. Si divincola dalla stretta. Addenta la mano. Ferisce. Si propaga nelle vene, come un fiume in piena. Fa gridare nella furia di una cascata, dove sobbalza, poi si svilisce in una stanchezza che fa piegare il capo. Si addormenta. Non vuole più capire.

Stella avrebbe preferito essere erba da foraggio. Un colpo netto di falce e stare poi nel vento sospesa per adagiarsi piano, profumare presto di fieno.

Il ricordo invece ringhia. Divora. Ha fame. Non si spennella in quieti acquarelli. Fa a brandelli la calma passeggera.

Taglia il momento in un convulso strano che prende. Sotterra in un buio catramoso, senza più speranza. E' un boato. Un tuono. Mentre lei avrebbe voluto spegnersi a poco, a poco, come una candela.

E' l'undici di luglio di molti anni prima.

Forse lei sta ancora in quel giorno, coperta dal lenzuolo della rassegnazione. Forse non è passato più il tempo. Il tempo si è fermato, cementato in una cella scura. Ricorda. E' nato da quel giorno quello che avrebbe fatto dopo. Ha sotterrato anni di vita quel giorno. Basta un momento per scavare un solco. Nessuno riempimento di altri sentimenti può colmare le assenze.

Un attimo non fa rumore, ma cambia il tracciato del proprio cammino.

Si cerca di colmare il vuoto, di gettare ponti che uniscano i lembi del destino, ma la frana Stella l'ha ancora dentro.

Stella ha la sua casa. La stalla con le mucche. Sta bene con suo padre, sua madre. Sta bene quando Marco la guarda. Le sussurra parole incipriate dal polline dei ranuncoli.

Marco fa un mazzetto di fiori di campo e li regala al suo amore.

E' un soffio di brezza il suo bacio. E' un delicato morbido prato di muschio il suo abbraccio.

Si appartano. Ridono per un niente. E in quel niente che li accomuna costruiscono la loro vita.

I loro incontri sono acqua che si mescola con altra acqua. Una felicità sotterranea in cui bevono  piano i loro caratteri. E tutto diventa cascata di emozioni pure.

Si scambiano. Ascoltano la voce dell'altro. Non possono tenersi tutto dentro. Stella racconta al suo Marco i desideri, le liti con il padre, i suoi turbamenti. Marco le parla dei suoi alberi, del suo lavoro di taglia boschi, dei sussurri dell'abete quando lui lo deve abbattere. Sembra che l'albero senta che deve morire. Respira più veloce, quasi piange, mosso dal vento.

La montagna è la loro scena. Traduce i silenzi, i fremiti, le parole che scaturiscono solo dagli occhi. Sta in attesa. Spia i loro gesti. Si rende partecipe, condivide quell'amore che si prende per mano.

Il sole si posa leggero sulla schiena della montagna e lei, benché dura e forte, addolcisce gli spigoli delle rocce per non fargli male.

Lo sguardo degli innamorati, come attirato da una calamita, si attacca alle rocce. Si lascia lisciare dalle pareti che nascondono e svelano ogni volta un piccolo segreto. Ecco che appare uno spuntone, un gioco di luci ed ombre, che prima non avevano visto.

Lassù, dove l'erba è fresca, le mucche si perdono tra i pendii, mangiano placide, mansuete fili di smeraldo. Ogni tanto alzano il capo. Si guardano attorno. Scacciano con la coda le mosche, che petulanti, come comari vecchie, ronzano, perché vogliono distrarre l'animale dai suoi quieti movimenti. Il corpo ondeggia. Le mammelle piene di latte diventano sempre più gonfie. E' il latte puro delle nascite sane. Quello delle risalite che sfocia non nel mare, ma alla vita.

Il padre di Stella sa che più su c'è un punto incontaminato. Non calpestato dalla mediocrità della gente superficiale. Hanno lasciato le immondizie sparse di pic-nic veloci. Hanno inquinato il piccolo paese.

La montagna invece è sfida. E' salita. E' dovere. Non è una scala mobile su cui andare per guardare la felicità dall'esterno. La felicità è fatica.

Suo padre pensa a tutto questo, quando si inerpica con il bestiame. E quando si sente convinto di essere arrivato al suo traguardo mobile, si siede sulla roccia che si trova al culmine del burrone. Guarda fisso lontano il panorama che non ha confini. Riflette negli occhi un piccolo pezzo di serenità da portare a casa.

Stella guarda sulla parete della stanza la sua vita a pezzi.

Ogni tanto sorride, o chiude gli occhi in uno spasmo di dolore. Vive in quel presente tutto suo fatto di frammentarie visioni.

Guarda l'anello che sancisce il vincolo della sacra unione tra lei e Marco.

La montagna è sempre lì a proteggere il loro amore.

Lei è incinta. Il figlio Luca è diventato grande e poi che altro?

Si passa la mano sul ventre come a riprovare il dolce dolore delle doglie.

Stringe il tessuto del vestito nel tentativo di serbare quella vita dentro.

"Non uscire! Sta qui con me, per sempre.".

Osserva la montagna che non è altro che la parete bianca della stanza.

La montagna si apre in un abbraccio, la cinge con i suo dorsali, grande, possente.

La montagna non può far male.

E' troppo vecchia per avere la forza di recare dolore.

E' anziana più di lei. Lei che non ha più energia nelle gambe.

Si sono sopite un giorno, come se il suo corpo si volesse addormentare un po' alla volta.

Luglio è oggi, perché si ripete mille volte nella mente.

Stella parte. Lascia Marco, Luca, i suoi, la sua casa per visitare la zia. E' precisamente il 19 luglio 1985.

In quel giorno una massa enorme di fango si abbatte su Tesero in Val di Fiemme. Una gigantesca frana provoca la morte di 268 persone.

E Stella dov'è? Lontana.

E' un venerdì poco dopo mezzogiorno. La sua famiglia è riunita in casa per il pranzo. Coi suoi genitori c'è anche Marco con il figlio.

La colata di fango dura sei minuti e in quei pochi minuti viene spazzata via la sua vita assieme a quella dei suoi cari.

Non è colpa della montagna. No! E' sempre colpa dell'uomo che rovina la sua esistenza con le proprie mani.

Oggi è per lei ancora luglio, mentre fuori nevica.

La neve nasconde i giorni, ma sotto la sua coltre i ricordi esistono.

Stella non riesce a mettere un numero giusto alle pagine della sua esistenza.

Lei madre, lei bambina ...

Mentre la montagna rimane intatta, integra. Unico punto fisso della sua vita.