Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

Premio letterario nazionale

Parole attorno al fuoco

XVIII^ edizione - Arcade, 5 Gennaio 2013

per un racconto sul tema:

"Genti, soldati e amanti della montagna:

storie e problemi di ieri e di oggi"

Primo classificato

                                                                     "SCOMPARSI"

                                                    BRAVIN LUIGINO di CONEGLIANO

A sentirla raccontare, dopo tanti anni dai fatti, sembrava impossibile che tutta la vicenda potesse essere vera.

Mi fu assicurato che non era una storia raccontata per spaventare i bambini nelle sere d'inverno.

"Piero Ganz, ancora ragazzo, era stato ferito sul Castelletto della Tofana e le due schegge nel ginocchio sinistro erano così profonde che si incistarono nei tessuti e gli bloccarono l'articolazione. Quando i reduci tornarono a casa non si adattarono più ad una vita di miseria e di sofferenza, troppa ne avevano subita; partirono per il Belgio delle miniere, per le Americhe, alcuni a lavorare a casa del nemico di pochi mesi prima, nelle officine e nei cantieri. Piero non poté seguirli. Per lui rimaneva solo il duro lavoro di sfalcio nei ripidi pendii sotto le cime dei Vanidiei o sotto la Stia.

Si sposò Piero, con Rosa, la figlia di suo zio, una cugina di primo grado. In quei tempi non era inconsueto: si sposavano le ragazze del paese. Dall'unione fra i due cugini nacque una figlia.

Le madri hanno, tutte, un senso particolare nell'accorgersi quando qualcosa non va per il verso giusto. "Nostra figlia è strabica - disse Piero alla moglie, ma senza dare un peso eccessivo a quella che sembrava solo una imperfezione - troverà da sposarsi ugualmente".

Con il passare dei mesi la madre si accorse che la bimba si muoveva poco, teneva i braccini inerti adiacenti al corpo e con fatica li sollevava appena.

"Piero, nostra figlia non si sa se potrà mai lavorare".

"Lavorerò io per lei".

La piccola, aveva quasi un anno, assieme a degli incisivi sbilenchi che non andavano nella stessa direzione degli occhietti evasivi allo sguardo altrui, manifestò, inaspettatamente, il desiderio di alzarsi in piedi.

Fu aiutata dalla pazienza dei due giovani sposi e in breve cominciò a camminare sicura.

"Almeno cammina", si confidò la madre.

Il corpicino crebbe tozzo ma resistente.

Non parlava la piccola Caterina e mai avrebbe parlato, solo suoni disarticolati uscivano dalla bocca che incorniciava quella selva di denti storti.

Rosa rimase incinta di nuovo.

"Chissà se avremo fortuna", disse Rosa.

"Sento che verrà anche per noi il momento che la vita girerà per il verso giusto", la rincuorò Piero.

Non girò per il verso giusto.

Gli occhi del piccolo Giacomo guardavano entrambi nella medesima direzione e si muovevano all'unisono; anche le braccia e le gambe crebbero forti.

"Ecco chi lavorerà per noi quando non saremo più in grado di farlo", si dissero i due sposi.

Giacomo parlava, anzi iniziò presto, ma nessuna parola aveva senso compiuto. Pronunciava con facilità ogni sillaba ma le accostava senza ordine.

"È un caso di cretinismo - e aggiunse il dottore - senza speranza".

Furono assaliti da mille dubbi, su loro stessi, sulle loro famiglie che erano poi le medesime, sulla Provvidenza che si era girata dall'altra parte, sui loro peccati che non c'erano, sull'amore che aveva generato due figli disgraziati.

Rosa si rifugiò nelle fede con maggiore dedizione e Piero si dedicò al lavoro con più energia. Allevò due manze in più e per mantenerle nel lungo inverno, andava a fare fieno, in estate, su pendii così ripidi da doversi legare in vita con una corda fissata ad un picchetto piantato a monte; srotolava la corda e segava il prato in discesa, risaliva, spostava il picchetto e falciava l'erba sotto stante e così via per intere giornate.

Si sistemava il fieno, avvolto in una coperta, sulle spalle e lo trasportava lungo il pendio fino al sentiero, lo caricava poi sulla slitta e giù frenando fino in paese. Era l'unico momento dove la gamba rigida gli era d'aiuto. Non cedeva, né si piegava, quando doveva frenare con tutta la forza che aveva, per rallentare l'abbrivio della slitta carica.

Il parroco del paese, senza essere richiesto, si interessò alla situazione dei due poveri disgraziati, come li chiamava lui, figli di Piero.

"C'è la possibilità di metterli in un istituto", disse un giorno ai due sposi. Si consultarono con gli occhi e non ci fu bisogno di parole.

"Sono nostri, ci sono stati dati e li teniamo così".

Non esistevano parole in eccesso fra la gente di montagna.

Caterina non andò a scuola, la tennero a casa ma non poteva dare nessun aiuto. Piero se la portava sempre appresso, le parlava in continuazione, sperando che le parole sillabate e pronunciate con amore potessero svegliare gli uccellini che abitavano in quel nido appollaiato sotto una matassa di capelli chiari.

"Ha le gambe forti la nostra Caterina", diceva fra sé l'uomo.

"Sono le mani che servono, le braccia, quelle servono, per tirare avanti", si diceva invece Rosa e se lo ripeteva cento volte al giorno.

Subito si rendeva conto che assieme alle parole sussurrate aveva formulato pensieri duri e accusatori contro la Provvidenza e subito recitava una giaculatoria per chiedere perdono.

Crescendo, Caterina, che nulla poteva fare, iniziò a seguire il padre in montagna; trasportava nella gerla legata in vita con una cinta il fieno in quantità sempre maggiore. Era forte e salda nelle sue gambe tozze.

Portava al pascolo le vacche e non potendo usare né bastone, né scudiscio, si faceva ubbidire con un fischio sibilante creato dall'aria che faceva circonlocuzioni strane fra i denti frastagliati.

Giacomo iniziò presto a lavorare accanto al padre; lo seguiva passo, passo, e ripeteva i gesti tali e quali li vedeva. Il pensiero e l'azione autonoma erano una chimera.

"Come farà quando non ci saremo più?"

"Qualcuno si prenderà cura, li metteranno nell'istituto come ha detto il parroco".

In cuor loro entrambi speravano, e Rosa lo metteva nelle sue preghiere ogni giorno, che i figli non sopravvivessero alla loro scomparsa.

Nella loro storia di genitori di due disgraziati avevano spesso" udito la frase: "Quelli che non sono normali vivono poco".

Se poteva sembrare consolante per un verso, era invece una disperazione perché a quei frutti della loro unione i due genitori donavano tutto il loro amore. La pazienza che Piero aveva con il figlio era visibile a tutti, le mille attenzioni per quella figlia che lo seguiva carica di fieno giù per i sentieri impervi che scendevano dai pascoli sotto le cime, era risaputa.

Erano gentili con i due figli, di una amabilità che non era di quei tempi.

Venne una nuova guerra e la vita misera di quei posti si accentuò. Gli uomini passarono dalle miniere e dalle sopraffazioni alla guerra, quasi senza passare per casa; giusto il tempo di imbastire qualche figlio frutto della lontananza e del caso. L'economia della famiglia di Piero del tutto autarchica prima, tale rimase anche dopo.

"Sopravviveremo", si dissero.

E così fu. La guerra finì e in breve tempo si aprì un mondo nuovo fatto di luce elettrica nelle case, di gente che andava lontano a lavorare e tornava con l'auto.

Per Piero e Rosa rimase tutto come prima.

"Sono troppo vecchio per andare via e troppo giovane per morire".

"Non puoi morire! Ci sono i nostri figli da accudire".

Mai una recriminazione uscì dalla loro bocca in quegli anni; anche Rosa smise di avere quei brevi colloqui astiosi con la Provvidenza che aveva spesso negli anni addietro.

Il mondo cambiò sempre più in fretta ma nella casa di Piero il ritmo era quello di decenni prima; ora che i pascoli bassi erano stati abbandonati dai proprietari che lavoravano all'estero o nelle città di pianura non c'era più bisogno di falciare l'erba sotto le cime. Caterina portava ugualmente la sua gerla piena di fieno, la pretendeva, anche se non c'era più bisogno.

Piero avrebbe potuto acquistare una falciatrice meccanica ma temeva per il figlio e non voleva umiliarlo impedendogli di usarla.

Continuò ad usare la falce e le sere d'estate il timbro ritmato del martello sulla lama accompagnava i preparativi per la cena.

La passione, se mai c'era stata, fra i due sposi era andata scemando da tempo; era rimasto un affetto profondo che andava rinsaldandosi di anno in anno e il collante era l'amore, non disgiunto dalla preoccupazione, per i figli.

Fu in inverno che si ruppe l'armonia delle loro vite.

Un tassello mancò all'improvviso.

Caterina non si svegliò.

Aveva quarant' anni.

"Almeno lei, il Signore l 'ha accolta prima di noi".

Giacomo fu preso da un sconforto che non poteva spiegare con le parole.

Vagava per casa cercando con gli occhi la sorella in tutte le stanze.

Smise di cibarsi, i tentativi di imboccarlo si rivelarono vani, chiudeva la bocca e non c'era verso di fargliela aprire.

In capo ad una settimana si lasciò morire di fame senza un lamento, anzi, con una luce di comprensione e di acutezza nello sguardo da far pensare che avesse acquistato quello che non aveva mai posseduto.

I loro corpi furono sepolti uno accanto all'altro. La terra della tomba di Caterina era ancora smossa.

Piero e Rosa erano rimasti soli.

"Il Signore ha esaudito le nostre preghiere".

Passarono quasi due decenni e malgrado gli acciacchi i due sposi vivevano serenamente accudendosi e rispettandosi.

Poi cominciarono le visioni.

Quando Piero si coricava e chiudeva gli occhi, lampi di luce si accendevano nel buio della camera, sulle tavole di larice che rivestivano i muri, sui mobili. Poi quelle bolle di colore giallo diventarono rosse, poi verdi, rosa, indaco e montavano su stesse e si spostavano veloci rimbalzando sulle pareti.

In seguito i lampi iniziarono a scontrarsi fra loro e con i poveri mobili, lasciando cadere a terra una polvere dorata che si adagiava morbida sulle tavole del pavimento.

Piero era restio a confidarsi con la moglie e non lo fece per alcune settimane.

L'unica consolazione di quelle notti intrise di timore e di curiosità era che aprendo gli occhi tutto spariva.

Ogni notte la polvere giallo oro copriva i mobili, le suppellettili, e si adagiava sulle coperte e Piero Ganz godeva nel farla levitare leggera muovendo i piedi sotto le lenzuola.

Nella veglia obbligata, al buio, con lo sguardo della mente pronto a cogliere lo spettacolo che aveva davanti, si accorse che Rosa parlava a bassa voce, ma non intendeva le parole.

Rimase nel dormiveglia, angosciato, con l'udito pronto a cogliere i balbettii inconsulti della donna che, solo in apparenza, riposava al suo fianco e la udì nettamente.

"Andate via, scendete dal letto, via, via ... "

"Con chi parla?- si chiedeva Piero - non c'è nessuno nella camera".

Certo che c'era qualcuno, anzi più di uno.

Rosa si confidò.

"Vedo tanti bambini che vogliono salire sul letto".

"Piccoli?"

"Certo, possono avere al massimo due, tre anni, e sono tutti nudi".

Non andarono da nessun medico.

"Non avrebbe mai potuto capire".

"È la nostra vita, c'è un conto da pagare, ma è leggero", questo si dissero i due anziani.

Rosa non scacciava più i bambini dal letto; ora si mettevano seduti e lei si spostava per lasciare loro spazio.

Piero vedeva i lampi di luce affievoliti e la polvere dorata ancora più lieve, come borotalco.

Si resero conto entrambi che una nuova dimensione era pronta ad accoglierli. Erano diventati ancora più parchi nel cibarsi e quel po' di zuppa che Rosa preparava, durava più giorni.

Piero non era più in grado di vangare e il suo lavoro era solo una carezza alla terra; regolarmente mungeva l'unica mucca rimasta.

Una notte il forte vento che scendeva dai ripidi versanti sopra il paese, che faceva sbattere le imposte, che si intrufolava fra i rami dei faggi e dei sorbi attorno alla casa, con refoli che entravano nella loro camera dove non c'era calore perché il fuoco era spento, Rosa fece entrare i bambini nudi sotto le coperte.

"Venite sotto al caldo", diceva.

Pietro non capiva, né udiva quello che diceva sottovoce; vedeva la polvere sollevarsi dai mobili spinta dall' aria che entrava dalle fessure.

Nessuno accese il fuoco quella mattina.

Nessuno munse la mucca.

Alla sera un vicino si accorse che dal camino non usciva fumo e che dalla stalla di Piero Ganz uscivano i lamenti della bestia non munta.

Forzarono la porta e salirono le scale.

Si accorsero subito che qualcosa era successo perché niente si muoveva, sul letto le coperte erano lisce come se sotto non ci fossero corpi distesi.

Alzarono le coperte, e videro che le loro camice da notte erano immobili, stese, al loro posto, come se i corpi si fossero sfilati senza muoverle.

Cercarono in tutta la casa ma di Piero e Rosa nessuna traccia.

Scomparsi.

Furono avvisati i carabinieri che indagarono in paese e anche fuori ma della sparizione dei coniugi nessuno venne a capo.

Non furono celebrati funerali, solo una funzione in chiesa.

Un mistero inspiegabile che animò le discussioni nelle case di quel paese di montagna per mesi, poi i ricordi scemarono e solo ogni tanto si parlava dei corpi scomparsi.

Alcuni anni dopo, erano passati quarant'anni dall'inumazione dei due figli ritardati, il comune decise di procedere all'esumazione dei corpi sepolti in quell'area del cimitero del paese.

La piccola ruspa cominciò a scavare e in breve giunse al livello delle due bare ormai sfatte; due uomini agganciarono le casse, una alla volta, e la ruspa le alzò fino ad appoggiarle con un tonfo sul terreno.

I coperchi delle due bare erano collassati, ma non lasciavano intravedere il contenuto.

Quando gli addetti al mesto compito alzarono le coperture ormai sfatte un turbine d'aria inspiegabile sollevò da ognuna un vortice di polvere dorata che salì veloce in aria, come succede a volte alle foglie d’autunno , e scomparve.