Gruppo Alpini di Arcade - Sezione di Treviso

 

Premio letterario nazionale "Parole intorno al fuoco"

III edizione - 5 gennaio 1998

 

Terzo classificato

I DUE “NEMICI”

di Giannino Angeli

via Belluno, 11

33010 FELETTO UMBERTO (UD)

Dal lettino dell'ospedale dov'era stato ricoverato per una banale appendicite, Rineo riusciva a scorgere le vette innevate delle Prealpi Carniche. Lo stagliarsi nitido di quelle cime nella cornice d'un cielo stranamente azzurrissimo lo commosse. Quasi lo intristì. Venne ghermito da un senso di malinconia che mai prima aveva provato. Si sentiva solo, con la preoccupazione di diventare vecchio. E quell'ansia gli stava impegnando la mente in modo esagerato.

Le montagne che vedeva, per lui, non avevano segreti: da ragazzo le aveva “scalate” in lungo e in largo quando, nei mesi estivi, il prete del suo paese organizzava fantastici campeggi tra le abetaie, accanto ai rivi d'acqua, a contatto con una natura prodiga di bellezze paesaggistiche ma anche... gastronomiche. Chi poteva dimenticare quelle “spaghettate” con i funghi appena colti... e le grigliate con la polenta fresca profumata di fumo e di bosco? Le fragole... i lamponi... e quel latte immacolato tiepido... direttamente prelevato dalle mucche al pascolo e schizzato con abilità nelle gole riarse di ragazzotti assetati di avventura ... ?

Sì, certo. c'era stato l'incidente di Nicolino, scivolato da un dirupo nel tentativo di strappare l'ultima stella alpina, ma alla fine se l'era cavata con una gamba rotta... E quella volta che rimanemmo intrappolati dalla nebbia per ventiquattro ore ... ? Impagabili, splendidi quei giorni ... !

Rineo aveva avuto quindi l'occasione di rivisitare quei monti in tempi successivi meno lieti: un addestramento con gli alpini della sua Compagnia: mollettiere al polpacci, zaino affardellato, mantello, fucile, alpenstock come si usava. Entusiasmante la montagna anche in grigioverde fintanto che la guerra rimase lontana. Poi. quando dai boschi e dalle valli di Croazia, dove Rineo fu mandato a combattere, l'incanto di mattinate meravigliose venne infranto dagli schianti dei mortai e dal colpi secchi dei fucili, il mondo sembrò diventare ostile con se stesso. I fuochi degli incendi nella notte. Poi l'alba attesa come una liberazione. Un'altra notte ancora. Di guardia nel caselli ferroviari, lungo strade ferrate fatiscenti, difesi da un velo di filo spinato al quale l'astuzia militare aveva appeso barattoli vuoti di latta in grado di ondeggiare sbatacchiando al minimo contatto ed allarmare così la sentinella. E quando soffiava il vento ... ? Quel macabro concerto di gamelotti che si toccavano... Era il nemico... l'aria o un animale ... ? Sventagliavi una raffica... due... un caricatore intero... Con rabbia. E gridavi per convincerti che avevi coraggio pur sentendo i brividi sotto l'elmetto. Poi il silenzio... L'urlo del vento continuava quasi beffardo... cinico come non l'avresti mai immaginato.

Una sera la scarica della mitraglia fu seguita da un gemito... un lamento lungo... un tramestio confuso coperto subito da sparatorie incrociate i cui lampi di partenza illuminarono a tratti la radura per infrangersi contro lontani cespugli. C'era stato il nemico quella notte. L'avevamo colpito. Forse a morte a giudicare dalla chiazza di sangue lasciata sul terreno. In luogo del corpo trovammo solo un cartello: “Torneremo”. Così. Scritto in Italiano. Sarebbe tornato? Che stanchezza! Che solitudine... quanta beatitudine... Un po' di riposo con un pallido sole che illumina la ridotta e proietta sul prato l'ombra lunga del casello facendolo apparire gran- de come un fortino. Tiepido sole sul viso, sulle mani, sul collo...

Rineo s'era addormentato con l'addensarsi di tanti ricordi d'un passato lontanissimo ormai. Eravamo nel 1966 e la guerra si era conclusa ancora nel 1945. Va tu a capire i comportamenti del nostro animo... psicoanalisi... ritorni di coscienza... Conosciamo tutto dei corpo umano, eppure c'è sempre qualcosa che ci sfugge.

Fu svegliato di soprassalto dal brusco aprirsi della porta della cameretta. Entrarono due infermieri spingendo un letto a rotelle sul quale, inanimato, giaceva un uomo pallido in volto le cui braccia erano collegate da due lunghi tubicini ad altrettante polle, una bianca e una rossa, appese al di sopra della spalliera.

“Le abbiamo portato compagnia...” disse uno degli infermieri.

“Grazie” rispose più per educazione che per sincera gratitudine.

“Chi è ... ?"

“Uno slavo che si è sentito male stamattina in centro... lo abbiamo operato d'urgenza... è sotto anestesia... non lo disturbi per un po' e non lo faccia parlare... Quando sì sveglia ci chiami per favore...”

Rineo annuì svogliatamente e si girò dall'altra parte. Gli faceva sempre un certo effetto veder soffrire gli altri. Preferiva essere lui a sopportare il dolore piuttosto che vederselo proporre nei volti dei sofferenti, dei malati. Gli ospedali poi. Con quell'odore diffuso di medicinali, alcol, sudore... ed altro...

Passò qualche ora senza che il nuovo compagno di stanza desse segni di vita. Con una smorfia Rineo ricordò quando fu fatto prigioniero dai partigiani slavi a Gospic dopo aver combattuto per un'intera giornata e aver assistito un commilitone moribondo fino al momento della cattura. Quella volta gli era andata bene: il capo dei “ribelli” l'aveva rinviato alle nostre linee con una gratificazione: “Bravo soldato italiano... tu ieri salvato piccola bambina slava... noi sapere tutto... noi riconoscenti... dire grazie. Ora va' dai tuoi...”.

Andò con la paura della raffica nella schiena. Furono sinceri. Non spararono. La guerra come sa essere umana talvolta. Negli scontri della giornata precedente, seguiti da rastrellamento in forze attuato da alcuni reparti italiani per “bonificare” la zona intensamente frequentata dai soldati di Tito, Rineo s'era trovato di fronte a una bambina di quattro anni, sporca e seminuda che girava piangendo per la strada nel trambusto di militari e civili che si rincorrevano a vicenda sparando, buttando bombe a mano che, scoppiando qua e là, provocavano dappertutto focolai d'incendio. D'istinto aveva raccolto e portato al riparo quel batuffolo infangato. Aveva tentato di far sorridere la bimba rincuorandola in qualche modo.

Quella aveva continuato a piangere fintanto che venne con- segnata ad uno della “Sanità” che s'era trovato nelle vicinanze e che Rineo aveva richiamato essendo stato a sua volta incitato a proseguire nell'azione in corso con gli altri.

Eh sì! Quel gesto gli aveva salvato la vita. Gli altri... gli altri... Pochi graziati mercé sua... Alcuni fucilati sul posto... I militi delle “Camicie Nere” sepolti con la gamba destra spogliata degli stivali, fuori terra come spregio al saluto romano di fascista memoria.

Altri ancora... dispersi... dispersi ...? Chissà dove ...?

Il respiro pesante, affannoso del vicino, attirò l'attenzione di Rineo. Si sollevò leggermente poggiandosi sul gomito sinistro e scrutò meglio il nuovo venuto: un uomo all'incirca della sua età. capelli neri, barba folta, una larga cicatrice sulla guancia destra. Sentendolo mormorare qualcosa di istinto sentì l'obbligo di tirare il cordino di chiamata. Accorsero un infermiere ed un medico. Stettero per un po' col malato in stretto conciliabolo conclusosi con l'affermazione ad alta voce del medico: “Ecco fatto... l'abbiamo riportato nel mondo dei vivi…”

Lo sconosciuto aveva aperto gli occhi che sgranava ora a destra ora a manca tra l'impaurito e il trasognato. “Voda" fu la prima parola che riuscì a dire. “Vuole dell'acqua...” si permise di tradurre Rineo. “Fin lì c'eravamo arrivati anche noi” tagliò corto l'infermiere passando una benda bagnata sulle labbra del paziente. Seguì un silenzio imbarazzante. "Scusi sa... - proseguì poi l'inserviente - ... con il nostro lavoro... qualche volta si dimentica l'educazione... Io sono di San Leonardo. Abito nelle Valli e mastico ancora un po' di sloveno...” Rineo tacque. Lasciò che i camici bianchi si allontanassero. Quindi rivolse il "buon giorno" al compagno di stanza senza peraltro ottenere risposta alcuna.

“Come stai ... ? Tra compagni di sventura possiamo darci del tu, no ... ?” Stavolta l'altro rispose con un sofferto “Dobro... dobro...” accompagnato da una smorfia di dolore. 'Ho capito. Ti lascio in pace. Parleremo quando starai meglio. Va bene così ... ?” “Dobro... dobro...”

Rineo si mise a sfogliare un giornale pigramente. Doveva occupare il tempo e la testa per non lasciarsi assalire da strani pensieri di vecchiaia, di morte, di ricordi dimenticati.

S'avvicinava la sera e la neve sulle montagne s'era tinta di rosa: uno spettacolo. La porta della cameretta si apri d'improvviso e comparve, quasi timida, la figura esile di una donna bruna, ben formata, dal volto sereno, gli occhi color trasparenza marina.

“Buona sera... sono la figlia di Branko" esordì come a voler ottenere il consenso di Rineo per poter visitare il padre.

“Buona sera - replicò Rineo - Suo padre sta bene... poco fa l'ha visto il medico... Sta bene... Deve essere forte come un toro... gli hanno fatto trasfusioni e flebo... Ha parlato sa...”

“Ma come, se non conosce l'italiano ... ?”

“'Sono io che parlo lo sloveno..."

“E’ anche lei delle nostre parti ... ?”

“No... ho fatto la guerra in Jugoslavia...” La donna a quella risposta ebbe un sussulto che mascherò subito con: “Neanche io risiedo laggiù... Sono di qui... di Udine... Ho sposato un friulano. Sulla mia vita si potrebbe scrivere un romanzo- aggiunse sorridendo. Poi, prese posto in una vicina sedia e cominciò a parlare sommessamente con suo padre indirizzando ogni tanto qualche occhiata interrogativa verso Rineo che nel frattempo aveva ripreso a leggere il suo giornale. Ad un certo momento la donna alzò il tono di voce con la chiara intenzione di farsi sentire anche da Rineo e, per avere la certezza che egli capisse lo slavo così parlò in quella lingua al padre: “Il tuo vicino è un soldato italiano che ha combattuto nel nostro paese... Sembra una brava persona sai...”

Rineo buttò da parte il giornale. S'era proposto di schernirsi a quell'esagerato complimento. Lo precedette Branko: “Chiedigli dov'era e a quale reparto apparteneva.”

“1942. Secondo Reggimento fanteria. Divisione '”Re”. Ma ho fatto anche l'Alpino. Il mio cuore è sui monti. Abbiamo operato a Udbina, Gospic, Kulen Vakuf, Podlapaz, Licki; Osik, Siroka Kula... il calvario dei miei vent'anni...”

“Ma allora lei ha combattuto a casa nostra...?”

Con imbarazzo la donna si alzò, tradita da una intensa emozione che le fece rovesciare la sedia sopra la quale era seduta. Balbettò qualcosa verso il padre che Rineo non riuscì a cogliere. Poi, quasi riprendendosi da un soffocante attimo d'apnea, disse: “Laggiù ci sono stati tanti morti... nostri e... vostri. Paesi interi distrutti, incendiati. Ogni sorta di violenze su cose e persone. Eravate voi... poi i cetnici... gli ustascià e per finire poi i ... tedeschi. lo ero bambina ma ricordo tutto di quegli orrori. Ho rischiato di morire. Papà e mamma, partigiani erano fuggiti durante un vostro rastrellamento. Mi avevano nascosto nella stalla. Avevo paura e gli scoppi assordanti delle bombe mi facevano tremare. Sentivo il soffio caldo delle esplosioni. Uscii in strada: soldati e partigiani si sparavano addosso correndo all'impazzata. Rischiai più volte di essere travolta... Un soldato... uno dei vostri mi trasse dalla strada e mi portò in salvo...”

A quel racconto Rineo trasalì. Poteva essere lui quel soldato. La donna notò subito il disagio apparso sul volto dei suo interlocutore e quasi per tranquillizzarlo continuò: “Tra gli italiani c'era tanta brava gente sa... come tra i nostri del resto...” Vedendo che Rineo non accennava a riprendersi, la donna,gli si avvicinò con l'intenzione di soccorrerlo con un bicchiere d'acqua. L'uomo tentò di berne un sorso ma il liquido gli calò sul mento, sul collo, bagnando il bordo dei lenzuolo. “Mi scusi l'ho sporcato tutto...”

Rineo sembrò riappropriarsi di tutte le forze che qualche minuto prima l'avevano abbandonato e con voce ferma interrogò: “Tu sei forse la bambina di Siroka - Kula ... ?” A sbiancare e sentirsi venir meno, questa volta, fu la donna. Sgranò gli occhi, ferma come una statua con il bicchiere in mano. Poi, quasi a monosillabi: ...”Tu sei il soldato che mi ha salvata ... !" Piansero entrambi di gioia per l'emozione di aver casualmente dato identità a se stessi, quali protagonisti d'una storia di guerra che aveva esaltato l'umanità, risparmiato due vite e che, per venticinque anni era rimasta rinchiusa negli inconsci segreti che ogni esistenza si trascina. Papà Branko volle essere informato di quella commozione... generale. Conosciutane la ragione, rimase impassibile, per niente turbato. A stento, da sotto il lenzuolo, tirò fuori una mano e la portò alla guancia. “Questa cicatrice è un ricordo dell’esercito italiano...” sentenziò senza rancore quasi a rilevare la bravura di chi era riuscito a colpirlo.

Passarono i giorni. Branko e Rineo furono dimessi e i saluti di convenienza furono accompagnati dalla vicendevole promessa di nuovi incontri per festeggiare. Un giorno, qualche anno dopo, a casa di Rineo arrivò l'invito del governo jugoslavo a presenziare a una cerimonia nel corso della quale gli sarebbe stata conferita l'onorificenza riservata alle persone degne di grandi meriti. L’interessato rimase sorpreso e lusingato nello stesso tempo. E, considerati i momenti storici, non è che fosse tanto propenso a ritornare nella terra che aveva calpestato da invasore. Si consultò e si consigliò tanto da ottenere le assicurazioni necessarie per andare e... ritornare.

Andò accompagnato dalla moglie. Trovò il paese imbandierato ad accoglierlo. La fanfara che suonava gli inni nazionali e marce partigiane. Solo allora si accorse di Branko, vestito di tutto punto, con una larga fascia di medaglie appuntata sul risvolto della giacca e la bustina militare marrone con la stella rossa sul frontino. Gli sorrise in modo protocollare, prontamente ricambiato. La cerimonia cominciò con la lettura dei saluti da parte del Console italiano e della massima autorità jugoslava del luogo. Poi venne dato luogo alla motivazione per la quale veniva concessa l'onorificenza a Rineo: diploma d'onore e medaglia d'oro.

Scrosciarono gli applausi. Tutti si fecero attorno al festeggiato per i rallegramenti rituali. Distante, quasi staccato dalla ressa, Branko e la sua famiglia: la moglie Irina bionda con gli occhi azzurri, un giovanottone sui vent'anni con in mano due piccole bandiere di carta, Katia la bimba di Siroka-Kula dagli occhi color trasparenza marina.

Dissoltasi la confusione... Branko gli si avvicinò. Allungò la mano destra strinse forte quella di Rineo: “Amici per la vita...” articolò svelto prima di commuoversi come un bambino. “Dobro... dobro..." rispose Rineo con gli occhi umidi di pianto. Si abbracciarono come due fratelli che il tempo aveva fatto incontrare dopo un lungo periodo di lontananza.