Le promesse del tempo andato - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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Le promesse del tempo andato

Tutte le edizioni > Edizione07
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VII EDIZIONE - Treviso, 28 ottobre 2001
Segnalato

Le promesse del tempo andato

di Enrico Brambilla - Almenno San Salbatore (BG)



"Lucia, quanti sono?..."
La donna spalancò le palme a dita distese, le sventolò più volte in aria, le richiuse rapinosa come avesse afferrato uno scarabeo d'oro.
"Siate benedetta, Lucia!... Duecento, avete detto?!... aggiunse l'uomo che, tra il serio e il faceto, levato il cappello, arruffava con il dito i cernecchi grigi che coronavano la sommità del cranio lucido. Sprofondata nella comoda fiorita della pergola innanzi il portone di casa, Lucia ramò le rughe, il volto assunse quel mistero di fico vizzo che gonfiava le guance sul ruminare delle gengive, scollò le palpebre di quel tanto da baluginare la vista celestrina, e, prima di fissarsi immota incantata dal sole che indorava la cresta delle preaalpi carniche, sospirò:
"Quando il Signore creò l'Alpe, sono nata io e il mio Lorenzo.. '" Poi... e tacque, grigia nel grigio delle pietre che incardinavano la porta. Lo scialle adagiato sul capo, l'accomodava sulla crocchia per attutire gli scarti della testa contro il muro quando la controra si faceva greve di sonno, pareva reggere l'incastro dei cantoni che levavano la casa sino al coppo, il cielo stesso sospeso d'azzurro-mare sopra la bitta del camino.
Lucia, dunque, reggeva tutto il paese alle spalle, le case s'inerpicavano per il dosso con spintoni dei muri maestri, e fermava, con la gravezza dei fianchi e le piante ben larghe sull'acciottolato, tutto quel rotio che la terra parabolava invisibilmente sotto la crosta visibile.
Beh! ... Non che credesse molto a quelle teorie di "stroleghi"!... Che sciocchezza!.. La terra che gira!... Fosse vero, dopo tutti quegli anni, gira che ti gira, l'altopiano del Pasubio e i monti Lessini tutti e Lorenzo stesso che v'era salito alpino fino alle trincee del Palon, avrebbero dovuto trovarsi poco distante, al limitare del bosco o al confine della magra vigna o da qualche altra parte, comunque un tiro di schioppo dal paese...
In verità dalle pianelle che lisciavano la pelle della terra, nei suoi lunghi sostare Lucia talora avvertiva montare un vibrio, un prurito che dai piedi formicolava per le ginocchia, su ai fianchi, alle spalle, alla seduta della comoda, alla casa, al paese tutto, al monte carsico che pareva tremolare come per un attacco violento di febbre. Allora accadeva che la gente si riversasse per strada strepitando:
"Che succede?!... E' la fine del mondo?!... Lo squasso del cielo?!... Il terremoto?!...
Lucia, invece, più placida che mai, amava pensare che non di crosta griccia o di giudizio universale si trattasse, ma di Lorenzo che, in punta di baionetta, le solleticasse i piedi sforacchiando quella sua terra friulana da parte a parte. E sorrideva...
In ugual modo si prendeva gioco degli anni e di quanti, con sciocchi complimenti, pretendevano misurare il tempo d'una vita vissuta in attesa. Duecento o trecento che fossero o forse più gli anni vissuti, ciò che le premeva era mantener fede agli impegni e l'impegno di Lucia si chiamava Lorenzo, partito nel 1915 per la guerra, un giorno dopo le nozze, quando il monte aveva cominciato ad ingemmarsi di primavera.
Quando quel pensiero, l'organza del velo da sposa che svaporava il rosa dei confetti, le balenava in mente, Lucia aveva afflussi di sangue alle guance, calori che rompevano l'immobilità e, tirate le maniche al polso, sventolava l'aria stagna richiamandone un'altra più fresca e profumata, un'aria di bosco complice nel fruscio delle foglie quasi carezzose al passaggio degli sposi sul biroccio agghindato di fiori come una bomboniera.
"Una pietra, la mia prima paga da soldato per una pietra preziosa con la luce dei tuoi occhi..." aveva promesso allora Lorenzo, il pugno a rattenere le redini del cadesse, lo sguardo perso nella volta degli alberi a bere lo spaglio di sole che ammicava tra le fronde, la luce fatua, magata, che fosforava sul profilo della montagna come la brace d'un caldano non del tutto spento. Bastava quell'aura di fiaba, era bastata quella voce incantata di sposo innamorato a quietare l'ansia di Lucia che, il braccio piegato sul battito del cuore e l'altra mano a pugno sul- la bocca, aveva detto insieme una preghiera ed un rimorso, un bisogno di protezione ed un inizio di protesta, una cerimonia delusa nella lalia trasognante delle labbra tremanti. Se nozze erano state, avevano avuto la brevità del sospiro ed il rantolo turbante della partenza prossima per una guerra che si diceva crudele...
Trotterellava allegro, il cavallo coi pennacchi, risvegliando sul sentiero uno straziante "rataplan" di tamburo...
"Eh!!!!..." sospirò Lucia, il petto gravato dal ricordo che intristiva in silenti memorie, il cuore che tamburellava quieto e pareva che Lorenzo, lì dentro, le suonasse quella marcetta militare: rataplan, rataplan, rataplan...
Da cento, trecento anni Lucia aspettava con la stessa pazienza della montagna che l'orecchio le fosse allertato dalla cadenza d'un passo caro: rataplan, rataplan, rataplan...
Poi venne sera, poi venne mattina: l'ultimo giorno... Lucia disperse il nugolo di moscerini che vorticava ad un palmo dal naso. Era apparsa alla svolta, nera e frusciante, la talare del vecchio prete.
"L’hanno trovato... bisbigliò don Angelo con il tono di voce, mogio e piagnucoloso, che era solito usare quando non portava buone nuove - ... Ed hanno trovato anche questo... aggiunse porgendo un quaderno e l'oggetto avvolto in carta oleata.
Lucia distese le palme, portò al cuore le reliquie, chiuse gli occhi a riconoscere nell'animo il tempo che tornava. Recuperò se stessa e la voce dell'alpino Lorenzo che, in una quinta solitaria, il prete spariva già alla svolta, si ripresentava dopo mille anni con il tenue tratto d'una scrittura minuta.
Lucia voltò pagina e lesse:
"... Sono già due giorni, Lucia mia... Avrete saputo, corrono così in fretta le notizie oggi, del Pasubio assaltato dagli Austriaci... Non temete, non crucciatevi, non m'accadrà nulla, non potrà accadermi nulla finché Voi mi sarete presente... E poi, ho fiducia negli amici, negli alpini... Sento rumori lassù, oltre la bocca della trincea, si stanno dando da fare a rimuovere macerie... La montagna violata dalle cannonate... Non mi resta che aspettare... Intanto... intanto ho l'occasione, approfitto della vaga luce d'una lampada a petrolio, per stare un po' con Voi, tanto poco e brevemente ci è stato dato viverci. Ne ho una struggente memoria di candido e azzurro: il candido del vostro velo da sposa, l'azzurro del cielo e l'ombra del bosco riflessa nei vostri occhi. E ancor più, se solo considero la mia pelle che un lutto di polvere oscura, mi strugge il balenio di quella luce che ammiccava tra gli alberi indorando il vostro volto... Dovrete chiedere, a don Angelo, se sia peccato questa visione che sveglia vita nelle vene in un luogo, questo, un budello di qualche centinaio di metri scavato nelle viscere del Palon, ove l'unico colore è proprio quello buio del peccato..."
Una bava d'umido aveva cancellato le parole a piè di pagina. Altre pagine sbriciolavano illeggibili sotto il polpastrello tremante di Lucia. Coglieva quei coriandoli ingrigiti ponendoli in grembo come grani preziosi. Li contava uno per uno: venti, come gli anni di Lorenzo. Contava pure, con la pazienza di ore infinite, ogni filamento cartaceo, ogni granello di polvere, ogni barba di muffa, ogni frustolo impalpabile raccolto nel pugno: quindicimilaottocentoquaranta, come i giorni trascorsi in attesa di quella prima lettera.
Riprese, una pagina asciutta mostrava nitida la grafia, a leggere:
"... Una settimana!... 0 almeno, credo sia trascorsa una settimana!... E' così difficile, in questa oscurità che non varia rotta solo dall'eco degli scoppi lassù, tenere il calcolo dei giorni!... Debbo dirvelo: non so fino a quando potrà durare... La scorta di petrolio si va esaurendo... S'affievoliscono anche i rumori, gli scoppi, un martellare che non distinguo se mitraglia o picconate d’amici in aiuto, s'affievolisce la voce di Demetrio, m'accorgo dell'aria che manca... Come Vi ho già detto, in questo budello ostruito dall'esplosione d'un pezzo da centoventi, pare che la montagna tutta ci sia franata addosso, siamo rimasti solo io ed il mio povero amico, e dire che, finito il turno di vedetta, avremmo dovuto riposare tranquilli...
Se poteste vederlo, questo amico, questo veterano dalla barba incolta, credo n'avreste paura!... Ha un aspetto così antico con quegli occhi spiritati!... E sapeste che strane storie racconta, penso siano segni di deliquio, indicandomi il fondo chiuso del camminamento dove croscia un rumore di torrente sotterraneo che tanto mi ricorda lo stormire del nostro bosco!... C'è stato l'eco d'uno scoppio, uno smottare di pietra, un'infiltrazione d'acqua e Demetrio, tremava tutto, puntando il dito ha esclamato:
"Caronte! Caronte!!!...
Poi, m'è costata fatica quietarlo, mi ha narrato a bassa voce la fantastica storia d'un barcaiolo che traghetta l'anime dei morti dall'una all'altra riva d'un fiume chiamato Acheronte. Sapete, Lucia, ho pianto ripensando d'improvviso al cavallino imbrigliato al cadesse che ci trasportava in quel nostro giorno d'un breve istante felice.....”
Mancavano più pagine. Molte, strappate a metà, incollate tra di loro, erano patinate di fango raggrumato. Lucia cercò di leggere le rune che la patina scalfivano con un'indecifrabile scrittura cuneiforme. Sospirò, la donna, titubò con un'occhiata cerulea a raccogliere tutto il giro dei cielo, il conforto del monte che pareva chinare le cime, il mormorio del bosco, poi lesse a fatica, lacrime le velavano gli occhi, le tremolanti parole che concludevano il quadernetto:
"Tra poco sarà buio per sempre. Non v'è più luce e la fiammella della lampada ha guizzi fatui. Credo s'alimenti col poco ossigeno dei mio fiato... Quanto tempo è trascorso? ... Sento musiche, la gavotta che ballammo, la vostra voce, come un profumo di ciclamini... Capisco, in pochi attimi di lucidità, che ho deliri ed anche io, ormai Demetrio non respira da ieri, ... quale ieri?! .... scorgo ombre, figure, volti di paesani, amici, pallidi alpini in processione e quel Caronte che credevo irreale ma è qui di fronte e guarda con occhio paziente e pare batta un "rataplan" che ho già sentito... Mi porterà da Voi, credo, su un calesse infiorato... E non può esservi che luce per chi, come me, il buio l'ha attraversato in vita... Luce... Luce... Luce d'una pietra preziosa... Luce promessa che mantengo, anche se ho scordato che differenza vi sia tra il buio e la luce... Lucia di luce...”
Lucia entrò in casa, il quaderno sul petto, l'involto stretto nella mano esangue, nelle orecchie un "rataplan" che montava acceso.
In camera, il letto era quello del giorno di nozze, la donna si distese. Con cautela, come sfogliasse un fiore, aprì l'involto. La pietra silicea delle viscere del Palon, grossa come un uovo, le graffiò le mani, le ferì il palmo aperto e il cuore fermo d'improvviso nell'ultima percussione d'un "ratapian" nuziale.
L’Alpe ingialliva d'autunno...

***

Da un trafiletto d'un vecchio quotidiano nazionale, in data 18/9/1979: "CIMA DEL PALON - CAMMINAMENTI DI TRINCEA ALPINA DELLA GRANDE GUERRA:
Si ha notizia che, nel corso di recuperi geologici d'una vecchia trincea, sono stati rinvenuti i resti di due alpini probabilmente sepolti vivi nel maggio del 1915 per il cannoneggiamento dell'artiglieria austriaca. Sepolte per sessanta anni, le salme avranno finalmente il giusto riposo nel sacrario stesso del monte Palon".
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