La maestrina di San Volfango - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


Vai ai contenuti

La maestrina di San Volfango

Tutte le edizioni > Edizione07
ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

VII EDIZIONE - Treviso, 28 ottobre 2001
Segnalato

La maestrina di San Volfango

di Isidoro Perin - Arcade (TV)



La piccola scuola di San Volfango, ultimo baluardo della cultura italiana del Nord-Est, chiudeva i battenti. Il numero di alunni non bastava più a coprire le esigenze economico-burocratíche del Ministero, perciò l'inviolabile principio dell'istruzione elementare obbligatoria doveva essere espletato altrove.
Teresa, la maestrina, non avrebbe potuto reggere un trasferimento e decise per la pensione. Una soluzione dolorosa, anche perché da anni la scuola era diventata anche la sua casa. Da una vecchia aula inutilizzata erano state ricavate due stanzette e lei vi si era adattata. Nelle fredde mattine d'inverno accendeva la grossa stufa a legna che riscaldava l'unica aula adibita a scuola e nella quale una dozzina di bambini convivevano tra le lezioni delle varie classi dalla 1' alla 5'.
Ora se ne sarebbe dovuta andare, ma il Sindaco di Drenchia riuscì a trovare la soluzione adeguata. Propose il trasferimento della piccola biblioteca e l'archivio annesso alla scuola in un appartamentino a fianco del municipio a Cras. La stanza adibita ad entrata sarebbe anche diventata il recapito telefonico pubblico. La maestrina, accettò commossa. Sarebbe stata vicino agli uffici comunali con i quali avrebbe potuto ancora collaborare. Avrebbe rivisto di sicuro qualcuno del suoi allievi alla ricerca di qualche documento anagrafico, e soprattutto avrebbe potuto spaziare lo sguardo su quel confine che era sempre stato per lei un punto fermo di valori e storie da trasmettere a bambini votati ad abbandonare la loro terra alla ricerca di un lavoro stabile e ad una impossibile sicurezza interiore.
Le radici di un uomo sono la sua terra, la sua storia: la maestra è il primo anello di collegamento spazio-temporale di questa verità.
Talvolta è difficile credere nei piccoli eroi delle guerre, immolati per cause loro incomprensibili. Chissà se l'alpino Riccardo Di Giusto avrebbe voluto vivere una umile vita tutta intera piuttosto che essere ricordato in un grigio monumento a Solarie. Non ha avuto il diritto di scegliere: primo caduto della Grande Guerra, eroe suo malgrado. Ogni anno, il 25 Maggio, la maestrina accompagnava i suoi alunni in passeggiata fino al cippo per deporre un mazzetto di fiori di campo.
Teresa ripassava la storia della sua terra alla ricerca di un arcano che ne spiegasse la fragilità. Guardava persino con rabbia la catena del Collovrat, incapace di difenderne i confini. Non bastavano le umiliazioni subite durante la disfatta di Caporetto, ne quelle dell'andirivieni durante la 2' guerra Mondiale, anche adesso che infuriava in Bosnia l'odio mortale e il genocidio quella terra era stata scelta per sconfinare. Non si trattava di eroi alla ricerca di glorie, ma di umili, poveri, disperati profughi. I valligiani però, guardavano con sospetto le tracce del loro passaggio nei fienili abbandonati e nelle vecchie grotte. Poteva sempre nascondersi tra loro qualche delinquente che approfittava del disordine per evitare di rendere conto dei propri misfatti.
A Teresa era stato consigliato di chiudere la porta almeno alla sera, ma lei rifiutava ostinata: nessuno avrebbe osato far del male alla maestrina. Il suo fiero portamento, quasi altero, i capelli ormai grigi trattenuti con cura sulla nuca, gli occhiali portati con civetteria sugli occhi da cerbiatta nonostante l'età, incutevano fiducia e rispetto a chiunque l'avesse incontrata.
Quella grigia sera di novembre era diventata buia prima del solito. Le nubi basse schiacciavano la vallata sotto la pioviggine fredda ed insidiosa. La stufa accesa rincuorava la cucina: tra poco avrebbe preparato un 'frico" (1) tutto per sé. Un vecchio contadino gli aveva regalato un pezzo di formaggio, un sacchetto di "strisulis"(2) e delle patate. Sul paiolo borbottava già la polenta.
Qualcuno entrò.
Dovete telefonare? Fate pure!
Si diresse verso l'entrata, ma il suo perenne sorriso rimase paralizzato in una smorfia di stupore davanti alla scena: tre uomini sporchi, fradici e sfatti stavano davanti a lei con aria spaventata:
- Vjen nga Pristina! Juritur!(3)
Da Pristina! Fino in Kossovo era dunque arrivata la guerra. La mimica delle mani non lasciava dubbi, quegli uomini erano affamati.
- Accomodatevi - Sussurrò Teresa in preda al panico.
Per darsi un contegno, ma soprattutto per non essere costretta a fissargli negli occhi prese ad armeggiare attorno alla cucina: rimestò la polenta, rovistò la brace e vi pose sopra nuova legna. Trasse le patate e cominciò a mondarle e a tagliarle a dadini. Gli uomini stavano seduti alle sua spalle poggiati alla tavola, in silenzio. Sembravano assaporare il calore asciutto del- la stufa.
Teresa pose a cuocere le patate in poco olio, facendo attenzione a non friggerle, poi prese a tagliare le strisulis.
Si volse finalmente ad incontrare gli sguardi torvi di stanchezza di quei miserabili. Chissà perché fuggivano dalla loro terra? Perché erano entrati proprio da lei senza nemmeno bussare? E se fossero dei delinquenti?... Continuò a girare delicatamente le patate e a tagliare il formaggio. La polenta continuava a sbuffare.
Senza esitazione si diresse alla credenza in entrata, ma il più giovane dei tre la bloccò risoluto sulla porta:
Nuke telefon! (4)
Vado a prendere il tegame nero per il frico.
Teresa sorrise con una smorfia e mimò le sue intenzioni. Il giovane stemperò la tensione ricambiando il sorriso a sua volta, mentre la maestrina cominciava a mescolare il formaggio e le patate.
Adesso non poteva girarsi, l'impasto doveva essere mescolato continuamente fino ad ottenere una torta omogenea. Sentiva gli sguardi addosso come aghi sulla schiena. E se l'avessero violentata?... avrebbe dovuto star zitta, oppure urlare?... E se il suo corpo avesse reagito in maniera diversa dalla sua volontà?... Dio mio che vergogna!
La tortina del frico cominciava a dondolare sulla padella e a fare la crosticina dorata. Pose sopra il coperchio e la girò con maestria. Nell'aria si spandeva il profumo acre del formaggio cotto, misto a un sottile velo di fumo. La polenta era ormai quasi pronta.
Si volse verso i volti affamati. E se fosse entrato qualcuno per telefonare?... Poteva sempre dire di essere stata costretta a servirli. Arrossì dentro se stessa. Cosa avrebbero pensato i suoi alunni. Lei, che aveva insegnato loro la fratellanza, la tolleranza, l'amore, ora stava in preda al panico davanti a qui tre miserabili, costretta a sperare che scomparissero al più presto.
Versò la polenta nel tagliere evitando il più possibile di incrociare i loro sguardi.
Anche il frico era ormai pronto e Teresa lo fece scivolare sul grande piatto al centro del tavolo. Prese il coltello, lo tagliò in tre parti e lo consegnò con malcelato fastidio agli improvvisati commensali. Il giallo della polenta e l'oro del frico spiccavano sulla tovaglia bianca. I volti rudi e sporchi acquistavano una certa grazia sotto la luce fioca della lampada. Mangiavano come bambini affamati senza educazione
Il più anziano dei tre afferrò la bottiglia del vino, e prese a bere a garganella. La maestrina lo fulminò con un'occhiata; il burbero si sentì imbarazzato e la ripose. Teresa versò il vino a tutti con calma. Aveva riacquistato una certa sicurezza esteriore, ma l'angoscia che le attanagliava il petto non svaniva. Stava vivendo la cena più lunga della sua vita e a nulla valevano i propositi e gli incoraggiamenti che tentava di darsi da sola:
- Coraggio Teresa tra poco tutto finirà. Pensa che potrebbe trattarsi di uomini perseguitati che lottano per la libertà del loro popolo e i loro figli te ne saranno grati.
Ecco! Finalmente avevano finito di mangiare. Teresa tentò di sorridere mentre preparava il caffè. Accettò di condividerlo con loro. Gli sembrava di cominciare ad accettarli. Avvolse la polenta avanzata in un canovaccio e tolse dal frigo il formaggio regalatogli dal vecchio contadino. Gli uomini sorrisero e stiparono con cura le provviste sugli zaini logori. Spiarono quindi la strada deserta e partirono salutando con la mano.
Teresa li guardò scomparire nella pioviggine sottile e densa che avvolgeva la valle. Si sentiva sola e vuota. Aveva fallito gli esami della vita. Il freddo pungente la costrinse a rientrare. Guardò a lungo nello specchio in entrata la sua faccia segnata dalle rughe finché un mare di lacrime gli contorse l'immagine.
Chissà se il tempo gli avrebbe concesso gli esami di riparazione!

(1) frico: tortino, fatto per lo più con gli avanzi di lavorazione delle forme di formaggio, talvolta misto a patate o a cipolle; un tipico piatto friulano.
(2) strisulis: striscioline di formaggio ricavate dagli avanzi di lavorazione, ideali per fare il frico
(3) Vjen ga Pristina!.- Veniamo da Pristina! Juritur!: Fame!
(4) Nuke telefon!: No telefono!
Torna ai contenuti