La lampada alla finestra - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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La lampada alla finestra

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XXI EDIZIONE - Arcade, 5 Gennaio 2016
Segnalato

La lampada alla finestra

di Adriano Stella - Spresiano (TV)



1 - La donna accende la lampada e la depone sul davanzale. Sbircia il cielo stellato, mormora una preghiera.
Dietro, Angelo, suo marito, le dice di lasciar perdere. “Nostro figlio non tornerà più.” Mormora scuotendo il capo, gli occhi annebbiati dal dolore mentre fissa Lucia. “Ormai sono passati anni dalla fine delle ostilità. Se non è morto, chissà dov'è! Forse in un lager, forse sperduto nella steppa, forse ...” pensa ma non lo dice. Scuote solo la testa, ormai incapace di credere.
Solo un miracolo potrà renderglielo nuovamente. Da due lunghi anni non sanno più niente.
La donna continua a fissare il cielo stellato, le sue labbra si muovono silenziose in un debole dialogo tra lei e le stelle. Una, in particolare: quella che ammirava col figlioletto, da piccolo. Gliela indicava mentre pregavano assieme per poi dirgli: “Quando ti senti solo e disperato rivolgiti a lei, parlale. Io farò altrettanto. Comunicheremo così tra noi per quanto lontano o in difficoltà potrai essere”.
Anche adesso guarda il cielo mentre la cerca. E, trovatala, le parla. La sua stella o quella di un Santo? O della Madonna? Solo loro due lo sanno. Ed è così che si comunicano. Lo sente nel suo cuore quel grido disperato del figlio che viaggia nell'etere come una navicella spaziale. E d'improvviso sente la pace e la speranza rinascerle nel cuore.
E quel grido disperato: “Figlio, figlio mio!” sorgerle alle labbra, sgorgandole da dentro.
Lentamente si ridesta, richiude la finestra. Con un sospiro si gira Guarda il quadro, con la Madonna di Fatima, appeso in un angolo della stanza. Si ferma mentre un breve, silenzioso dialogo si svolge fra loro due. Più una disperata invocazione che delle frasi.
Lentamente si avvia, non più strascicando i piedi ma leggera, col cuore sollevato, la mente libera e gli occhi che brillano nella semioscurità.
Sale le scale, raggiunge suo marito Angelo, di nome e di fatto, già a letto. Ancora non dorme. Difatti, lo vede girarsi verso di lei. Con il suo sguardo speranzoso non la vuol deludere. Sente il suo sospiro mentre la cerca e le stringe una mano, in silenzio, come per incoraggiarla.
Lei mormora, convinta. “Tornerà” annuendo con il capo. E già le sembra di udire il grido del figlio, giù, nel cortile, che le annuncia il ritorno. Poi, in silenzio, protende una mano, abbassa la fiamma del lume a petrolio.
Non le riesce di dormire. Rimane lì, gli occhi aperti, fissi sul tetto di coppi dove, tra le tavelle sconnesse, penetra la luce delle stelle. Non dorme. Ascolta i rumori della notte. E il brontolio dell'uomo al suo fianco, che è il suo modo di russare.
Nella mano di entrambi, fra le dita strette a pugno, giace la corona del rosario. Il loro modo di pregarlo.

2 - Lucia incontra Rufo mentre scende il sentiero che porta in paese. Il ragazzo è grande e grosso, come il suo. E in parte gli assomiglia. Lo guarda soprappensiero mentre la sorpassa Sorpresa, lo vede sorriderle. Non l'ha mai fatto prima, ne è sicura. Nel passarle accanto, lo sente dire con tono sicuro. “Tornerà, Lucia, vedrete!” Lei annuisce, sorpresa e meravigliata. Il suo stesso pensiero, la sua stessa convinzione pensa osservandolo mentre vorrebbe chiedergli che cosa glielo fa pensare. Da tempo non lo vede. Ora scompare rapido, di corsa, oltre la curva del sentiero, veloce come un fulmine. Il tempo di seguirlo con lo sguardo prima che scompaia oltre la piccola casa in cui abita e il prato pieno d'erba da tagliare che la circonda. E nuovamente lo rivede ora assieme a suo figlio rincorrersi da bambini su quel prato, veloci come daini e gridando come lupi affamati dietro una preda terrorizzata che saltella sulla neve caduta in abbondanza per tutto l'inverno. Li vede incespicare e cadere, rialzarsi ridendo e lanciarsi, gridando, l'un l'altro palle di neve con voce stridula, come il falco che la sorvola in quel momento. Ambedue scompaiono con la rapidità di un battito di ciglia.
Riprende il cammino scuotendo la testa e sospirando. Quel ragazzo, partito per la guerra solo due giorni prima del suo! Di lui è ritornata solo la cartolina che ne annunciava la morte. Di suo figlio sa che non sarà così. Glielo ha appena confermato quel ragazzotto, un pò tonto ma non falso. E lei ci crede. Perché lei sa che è così! Suo marito no. Lui non crede più, forse neanche ci spera più, dopo due anni di vana attesa; ma lei si, lei ne è sicura. Suo figlio è vivo e presto tornerà a casa, ripete a voce alta camminando veloce lungo il sentiero.

3 - Silenziosa come un fantasma scende il viottolo che porta al paese. Chi la vede passare scuote la testa, come Martino, che la incontra alla fontanella. La saluta portandosi la mano alla fronte. Le parole non servono. Non gli risponderebbe. “Povera Lucia” mormora scuotendo la testa. Negli occhi lo sguardo che gli ha lanciato. Non è quello di un folle, come tutti vogliono credere. No, è di chi crede nell'impossibile, di chi spera, di chi sa quanto gli altri hanno accantonato da tempo, Angelo compreso.
L'ha vista uscire. Si è limitato a scuotere la testa, a lasciarla fare. Da quando ha visto Rufo, Lucia scende ogni giorno in paese, come presa da un presentimento. O da una folle speranza.
Lucia entra in chiesa. Qualche volta il parroco, don Ferruccio, che la vede scuote la testa. Non le dice più niente. La lascia fare e spera solo che abbia ragione. Che i matti siano loro, il paese intero. Nel suo cuore la ammira. E prega con lei vedendola accendere una candela all'altare della Madonna, inginocchiarsi sui gradini davanti alla Santa Vergine, guardarla negli occhi, aprirle il cuore. Fra madri s'intendono, anche senza parlare. Sembrano conoscersi da sempre. Dopo un tempo interminabile, per chiunque ma non per Lucia, questa si alza ed esce, sempre in silenzio. A volte seguita dallo sguardo del prete che, seduto sullo scranno del confessionale, la osserva senza essere visto. Nei suoi occhi l'ammirazione per quella madre che crede nell'impossibile: il ritorno del figlio disperso di cui, da almeno cinque anni, non ha notizie. Continua a sperare e ad attenderlo senza disperare né curarsi degli sguardi compatiti se non derisori dei suoi compaesani.
Vedendola alzarsi e avviarsi all'uscita, il don esce dal suo confessionale e s'inginocchia a sua volta ai piedi della Santa Vergine di Fatima in una muta e speranzosa preghiera. Non perché creda nel miracolo, ma sa che l'insistenza di quella madre è capace anche di provocarne uno, come Maria a Cana. E lui vuole essere presente quel giorno che accadrà: se non altro, per godere con Lucia e credere nella fede convinta di una madre. Anzi di due, sospira, osservando le labbra increspate in un sorriso della Vergine Maria.

4 - Seduti in un angolo vicino al “larin”, sotto lo sguardo dolcemente severo di Lucia, i tre bambini fissano le mani veloci della donna mentre lavora l'impasto della “pinsa”: farina gialla con zucca, latte, uva fragola appassita e fichi mescolando, sminuzzando, schiacciando e mettendo tutto insieme. Vicino Angelo, suo marito, ha ripulito e riscaldato la pietra del focolare su cui riporre l'impasto.
Nel farlo Lucia ripensa al figlio lontano che la guerra si è portata via. Di lui nessuna notizia le è mai giunta, né buona né cattiva. E ogni volta che vede il prete o il maresciallo passare di là il suo cuore trepida e perde colpi temendo sempre il peggio.
Come ora.
L'ansia le attanaglia la gola mentre osserva don Ferruccio entrare e salutare con la sua voce baritonale. Le mani si fermano, gli occhi lo fissano spalancati scrutandone il volto, il cuore che le impazzisce nel petto. Aspetta trepidante mentre, vicino, Angelo continua silenzioso il suo lavoro di ripulitura della pietra dalla cenere e i ragazzini lo fissano con disappunto fermi, immobili, lo sguardo sulla “pinsa” che sembra allontanarsi sempre più e di cui già ne sentono il profumo.
- Non è ancora pronta. - mormora Lucia abbassando gli occhi con un mezzo sorriso di scusa. Evita di guardare il prete. Aspetta di sentirlo parlare; annunciare la sua sentenza inappellabile mentre le lacrime fanno la loro comparsa. Lacrime che Lucia si affretta a far scomparire con un rapido gesto della mano, subito asciugata sulla “traversa”.
-Lo so! -mormora il vecchio prete annuendo al bicchiere di “clinto” che Angelo si era affrettato a mettergli davanti perché si bagnasse la bocca dopo la lunga scarpinata per giungere fin lì. Sbircia i tre ragazzini in attesa attorno al focolare che lo guardano curiosi e speranzosi di una caramella, ma quel giorno non sono fortunati. Il vecchio prete è lì per una lettera da consegnare ai due genitori. - E' arrivata già vecchia e tutta spiegazzata. - Si giustifica con un filo di voce senza guardare nessuno.
- Deve aver compiuto un lungo giro prima di arrivare da noi. Chissà per quante mani è passata! -
- Sieda e beva un bicchiere! - lo invita Angelo. Aveva sistemato la pietra per la “pinsa” in un angolo, preso il fiasco dalla credenza, un bicchiere dall'acquaio che aveva subito riempito di “clinto”. - Quello che l'annata ci ha concesso! -mormora, quasi per scusarsi se non è buono come il solito.
- Dio vi benedica! - mormora il prete. E consegna la lettera all'uomo in attesa che la donna continui con il dolce campagnolo il cui profumo, cuocendo, riempie le nari dei presenti.
Angelo legge. Alza gli occhi sulla donna, scuote la testa. -Notizie vecchie di anni. - dice - Niente di particolare. Solo il rendiconto di quanto accade sotto la “naia”.
La donna incassa la testa nelle spalle, due lacrime le scivolano giù per le guance. Di sollievo, questa volta. Si affretta ad asciugarle. E sorridendo si rivolge ai bambini: - C’è bisogno di altri tronchetti di acacia per cuocere la “pinsa” - mormora.
I tre la guardano, contrariati. Fredo, il più vecchio, apre la bocca per protestare, ma un'occhiata del padre lo blocca. Abbassa la testa, balza giù dalla panca e - Andiamo! - Si rivolge ai due cuginetti più piccoli. Questi lo seguono senza parlare. È lui l'anziano, devono obbedirgli! Con un'ultima occhiata alla “pinsa” escono, in fila come altrettanti soldatini.
- Bravi bambini! - sorride don Ferruccio osservandoli.
Nessuno dei tre parla più. Solo Angelo riprende in mano la lettera e torna a leggerla E d'improvviso la sbatte sul tavolo mentre fissa, con occhi sfavillanti, il curato.
- Don Ferruccio! Che scherzi sono questi? - biascica ruggendo.
Il prete sobbalza al colpo, il vino gli va di traverso e tossisce spasmodicamente mentre Lucia guarda in silenzio il marito. Entrambi lo fissano sorpresi. Il prete riabbassa gli occhi sulla lettera ingiallita e spiegazzata guardandola senza capire.
È la donna a muoversi per prima. Si avvicina silenziosa al tavolo, uno sguardo stupito e speranzoso fisso sul marito, sulla lettera, sul prete. Pensa e spera che non sia vero. E sempre senza parlare, lentamente, prende in mano la lettera. Legge. E piange. Questa volta di sollievo. Annuisce. Mormora. - Nostro figlio non si chiama Gian Antonio Barbon ma Antonio Barban. - E ripone la lettera sul tavolo. Silenziosa, sorridente, si gira e torna alla sua “pinsa”.
Confuso, il prete riprende in mano la lettera, torna a leggere il nome in calce, scarabocchiato e che mal si comprende. Alza lo sguardo confuso, guarda i due, mormora: - Mi dispiace! Ho sbagliato casa! - si alza Biascica a labbra strette, rosso in viso, una benedizione e se ne va quasi di corsa, come fuggendo, senza finire il vino appena sorseggiato, seguito dallo sguardo irato di Angelo.
Questi si alza, va dalla moglie, le si ferma accanto. Lucia lo guarda con occhio tenero, affettuoso, prima di gettarglisi fra le braccia senza parlare e senza dirgli niente. Solo mormora una preghiera di ringraziamento fissando il quadro del Sacro Cuore appeso al muro sopra il focolare, scuro per il fumo, che la guarda sorridendo indicandole il suo Cuore, come per dirle: Fidati di me!
Angelo se la stringe al petto mentre mormora, annuendo: - Hai ragione, moglie! Nostro figlio tornerà! - senza sapere perché si sente così sicuro. Vuole solo consolare Lucia, darle animo, rincuorarla? O in quell'errore del curato intuisce un segno del destino, un qualcosa di concreto, di vero, di reale?
Negli occhi della donna, dallo sguardo sperso nel vuoto, per un attimo vede, con la mente, una lunga distesa di neve su cui ombre scure arrancano lente, distanziate, dai volti magri, scavati, ricoperti di ghiaccio, gli occhi infossati, le ciglia ghiacciate e dure come aghi di pino, sul terreno calpestato da piedi stanchi, strascicati, che si lasciano dietro lunghe strisce di pezza bagnate e dure come steli di erba crocchiante.
L'uomo annuisce nuovamente convinto, ora, mentre mormora: - Si, tornerà: sano e salvo! - e fissa quel volto di madre sollevato verso di lui, gli occhi grandi e scuri come due caverne vuote che lo fissano pieni di speranza.
In silenzio, Angelo stringe con tenerezza a sé Lucia, le poggia il mento sulla testa i cui capelli profumano di “pinsa mentre la sente annuire e, con un sorriso, dire: -Tornerà! Oh si che tornerà, ne sono sicura! - e chiude gli occhi singhiozzando silenziosamente.

5 - Un grido si leva nella notte. Lucia lo sente e grida: - E' lui, Angelo! È tornato! Svegliati! Nostro figlio è qui! - e lo scuote con vigore. Sembra impazzita. Alza la fiammella del lume, balza dal letto, corre alla finestra, dove brilla la luce della lampada lasciata accesa nella notte. Spalanca i vetri, grida sporgendosi e cercando di vedere oltre la pergola d'uva bacò. - Figlio mio, sei tu? -prima di buttarsi alla porta, scendere le scale due gradini alla volta col rischio di cadere, correre al portoncino d'entrata, spalancarlo, uscire nel cortile.
E lo vede, finalmente, fuori del cancello di legno aperto sulla stradina di ghiaia racchiusa fra due alte e folte siepi. Gli corre incontro, incurante del freddo e della notte. Gli butta le braccia al collo, se lo stringe contro il petto baciandolo e abbracciandolo. Grida: - Figlio! Figlio mio! Sei qui!
Dietro, Angelo guarda incredulo quella scena, gli occhi lucidi di pianto, fermo sulla soglia del portico. Non crede ai suoi occhi, anche se, in cuor suo, non ha mai dubitato della fede di sua moglie. E, a sua volta, non ha mai smesso di credere, contro ogni speranza.
Sul cancello, madre e figlio si stringono fra le braccia. Ambedue piangono di gioia. Lucia lo scosta, vuoI vederlo, rimirarlo, prima di tornare a stringerselo nuovamente contro. -Figlio, figlio mio! - non smette di dire, incredula della realtà che si sta avverando.
A sua volta Antonio se la stringe contro, singhiozzando. Anche lui non crede a quanto gli sta accadendo. E risentire quel forte abbraccio della madre. E nella mente vede ancora le scene della sua prigionia, che scorrono veloci come flash di un film.

6 - L'avevano catturato per strada, dopo la ferrovia, a causa di un avvallamento non visto.
Vi finisce dentro. La moto si capovolge. Cade lontano qualche metro. Intontito, li sente arrivare. Tenta di fuggire, ma la testa annebbiata glielo impedisce. Lo prendono, lo portano con loro al posto di polizia. Lì dentro c'è un civile, con pastrano e stivali di pelle nera e lucida. Lo guarda appena mentre legge il messaggio appena arrivato. Un cenno al soldato. Viene deposto sulla panca appoggiata al muro. Poi non ricorda più nulla. Solo qualche flash. Camion in movimento, soldati seduti ai lati, muti non astiosi, che lo fissano con occhi indifferenti. Per loro può anche morire che neanche se ne accorgono.
Un villaggio. È fatto scendere. Una baracca. All'interno un tavolo con sopra una zuppiera e dentro pezzi di carne che navigano in un brodo scuro, dal sapore indecifrabile. Grida e risate risuonano nella sua testa stordita.
Di nuovo fuori. Freddo, buio. Qua e là qualche luce fioca, un grido indecifrabile. Movimento oscillante. Per un po' non ricorda altro. Solo d'essere caduto dal camion. Un gran botto, fiamme, grossi uccelli neri che volano sopra di lui, dalle bocche fiammeggianti. Qualcuno gli cade addosso. Due occhi spalancati e fissi lo guardano. Sembrano quelli di un mostro che lo vogliono sbranare. Urla e non vede né sente più nulla.
Il buio si alterna alla luce senza che lui se ne renda conto. Solo, di tanto in tanto, sente delle voci. Una, in particolare, lo colpisce: di una donna, dal dolce viso chiaro e dal corpo solido, di contadina. Siede per terra, nella neve. E piange, quieta. Un uomo giace a terra vicino a lei. Sulla neve una gran macchia rossa. I loro sguardi s'incontrano. Grandi e scuri quelli di lei.
“Mamma!” grida, prima che il buio scenda improvviso su di lui.
Da quel momento ogni ricordo scompare. Fino a quel mese. Di quel periodo ricorda solo una parola, gridatagli negli orecchi. “Davai! Davai!” E una immagine: la fiammella di una candela che brilla nella notte, da quella che gli appare come la piccola finestrella di una casa. Una “isbah” o una capanna ma che, nel lampo di una folgore, somiglia alla sua casa di un tempo.

7 - Al sentire quella narrazione, Lucia si commuove. Lo stringe a sé in un abbraccio vigoroso. Calde e silenziose lacrime le scendono lungo le guance rugose. Poi si scuote. Si asciuga gli occhi. Si guarda attorno. Due persone le sono accanto, oltre al figlio che si stringe contro: una donna con un bambino piccolo fra le braccia che la guarda curioso, senza piangere. Vicino l'uomo che li ha accompagnati fin là: dalla faccia squadrata, come tagliata con l'accetta. Occhi duri, ora velati da un accenno di sorriso. Mani grosse e callose, di chi ha lavorato tanto e duramente. II volto di un poliziotto o il corpo di un contadino? Difficile dirlo. Annuisce il suo ringraziamento mentre gli stringe la mano. Poche parole soffocate dal pianto di gioia.
E Lucia torna a stringere il figlio in un abbraccio. Lo bacia senza sosta prima di sollevare lo sguardo al Cielo, dove sosta una piccola nuvola dalla forma di donna sorridente. La guarda, sorride a sua volta, annuisce e muove le labbra in una parola che le esce dal cuore: “Grazie”, indovinando in Lei il volto di una madre che ha sofferto molto per il Figlio flagellato, schernito, maltrattato e ucciso barbaramente, senza pietà. China gli occhi dopo aver formulato, con le labbra, un caloroso e sentito “Grazie”.
Stringe a sé il figlio ritrovato, timorosa di perderlo ancora, e si avvia verso casa, dove l'attende l'incredulo marito. Per un attimo si gira verso l'uomo in nero e la ragazza col bimbo in braccio che intuisce essere quel nipote che ormai disperava di non avere più. E mormora un “Seguitemi!” appena accennato.
E si avvia senza curarsi se la seguono o no. Contro di sé stringe sempre quel figlio ritrovato e che disperava ormai di vedere ancora.
Senza accorgersi degli uomini e delle donne, suoi paesani, che la osservano e seguono accompagnandola in silenzio fino a casa.
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