L'eredità - Gruppo Alpini Arcade


Associazione Nazionale Alpini


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L'eredità

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI
Sezione di Treviso e Gruppo di Arcade

PREMIO LETTERARIO
Parole Attorno al Fuoco
PREMIO NAZIONALE PER UN RACCONTO SUL TEMA

“La Montagna: le sue storie, le sue genti, i suoi soldati, i suoi problemi di ieri e di oggi”

XXI EDIZIONE - Arcade, 5 Gennaio 2016
Segnalato

L'eredità

di Barbara Chenetti - Corlo (FE)



"(…) Figuriamoci poi se c'è chi pensa che ci siete anche voi bestie, che guardate uomini e cose con codesti occhi silenziosi, e chi sa come li vedete, e che ve ne pare."
Luigi Pirandello

Un vocio inquieto, nato all'alba e subito reso accidioso dalla disapprovazione, aveva invaso la piazza del paese. Gelidi e rumorosi come una valanga, i commenti prendevano forza quasi per inerzia, ruzzolando di bocca in bocca.
"Non si è mai sentita una roba simile", ripetevano l'una all'altra le voci incredule "una bestia da soma che eredita una fortuna!"
Si commentava così l'ultima stravaganza dello straniero, un uomo riservato che dieci anni prima era arrivato in mezzo ai monti per un breve soggiorno e all'improvviso aveva deciso di restarvi.
"Amava le bestie più degli uomini, mentre gli pulivo casa spesso lo sentivo parlare con Usco, come se fosse un cristiano" annuiva Nena, compiaciuta di trovarsi al centro della scena.
Tutti pendevano dalle sue labbra, solo il mediatore, l'uomo che aveva ereditato il mulo e la sua fortuna, la osservava con un sorriso divertito.
"Hai ben da ridere tu! Grazie a quella brutta bestiaccia ti sei assicurato la possibilità di metter le mani su un bel gruzzolo!" lo punzecchiò Antonio.
Chiamato in causa ma non volendo entrare nel vivo di un discorso fine a se stesso, il mediatore preferì allontanarsi senza aprire bocca.
Troppo schivo per mettere in piazza i propri sentimenti preferiva ricordare l'amico inoltrandosi nel suo regno di solitudine, là dove, più che case e uomini, s’incontravano muschi, sassi e montagne di fogliame. Appena fuori dall’abitato, la strada diventava sentiero; stretto come un ponte levatoio, esso s’inerpicava su per i tornanti per rinascere bosco. Attraversarlo significava mettersi al riparo dalle forre delle chiacchiere ma anche pagare un dazio molto elevato al vento che, pettinandolo con folate d’emozioni, già lo stava spogliando delle sue corazze. A fargli da guida, era infatti spuntato il carro dei ricordi.
***
L’arroganza della pioggia, dissolta da un raggio di sole, si era arenata in pozze d’acqua esausta. Il mulo vi ficcò dentro il muso. Si abbeverava, indifferente alla tintura di mallo di noce che gli scendeva dai fianchi, accentuando nella pozza il colore del fango.
“Bello mio, le pene che ti hanno conferito questo aspetto fiacco e smunto sono nulla in confronto a ciò che ti aspetta” gli disse il mediatore dandogli una pacca sulla groppa “a dirla tutta, siamo fregati entrambi. Tu finirai al macello e io...”
“Quanto vuoi?”, si intromise una voce alle sue spalle.
Apparteneva allo straniero, l’uomo che da alcune settimane aveva preso alloggio nell’unica pensione del paese. Più riservato e taciturno di un montanaro, di lui non si sapeva praticamente nulla. Dal giorno in cui era arrivato, si alzava all’alba, si faceva preparare un panino e per tutto il giorno se ne andava a zonzo per i boschi. Quando a sera inoltrata faceva ritorno al paese, l’unico pasto caldo della giornata lo consumava da solo, chiuso a chiave nella sua stanza. I bambini che lo avevano seguito di nascosto, dicevano che passasse la maggior parte del tempo a leggere, vestito di tutto punto, presso il laghetto delle fate, come stregato dalla bellezza di quello scorcio montano.
Il mediatore non sapeva cosa pensare. Guardava ora l’animale ora l’uomo, indeciso sul da farsi. Nella sua espressione, lo straniero lesse però una domanda inespressa.
“Lei si sta chiedendo per quale motivo voglia acquistare il mulo, non è così?”
Rompere il silenzio gli era costata molta fatica, a svelarlo era la voce, pesante e smussata come la pietra di un muretto a secco.
“Per lui cerco una casa, non un mattatoio. Farei di tutto per assicurargliela. Durante la guerra non ha trasportato salmerie, ma veri e propri pezzi d'artiglieria. È un mulo di prima classe”, puntualizzò il mediatore.
“Mi guardi. Cosa vede?”
“Un uomo ricco, non certo un contadino che abbisogni di un animale da fatica.”
“Mi chiamo Giorgio” prese a raccontare lo sconosciuto dopo una lunga pausa di riflessione “molti anni fa ero uno stimato commerciante. Credevo che nulla avrebbe potuto intaccare la mia posizione. Mi sbagliavo. Subito dopo la promulgazione delle leggi razziali, mi hanno confiscato la ditta. Pensavo di essere un uomo finito e invece il peggio doveva ancora venire. Una sera, assieme alla mia famiglia, fui rastrellato e portato in un campo. Alla prima selezione, i miei finirono nella fila sbagliata. Io fui condannato a vivere. Proprio come questo mulo, ho viaggiato su un carro merci e ho subito diverse selezioni. Mi hanno guardato in bocca, mi hanno picchiato con un bastone per vedere le mie reazioni, mi hanno tatuato e usato come bestia da soma.”
L’occhio allenato del mediatore, non faticò a scovare i segni di quanto l’altro gli andava raccontando. In più punti, la magrezza del corpo bucava la stoffa. Da sotto la tesa del cappello, i capelli spuntavano radi e crespi come il pelo del povero mulo. Liberato dalla manica della camicia, dall’avambraccio era spuntato un tatuaggio, simile al numero di matricola impresso sullo zoccolo del quadrupede.
Nonostante lo sguardo indagatore dell'interlocutore lo facesse sentire in soggezione, l’uomo si costrinse a continuare.
“A guerra finita, sono riuscito a recuperare parte dei miei averi. Della mia famiglia non è però rimasto nessuno. L’essere sopravvissuto è diventata la mia maledizione, per questo vago per i sentieri di montagna in cerca di quiete. La pioggia oggi mi ha costretto a rientrare e, dalla strada, ho visto i contadini gettare pietre al mulo. Li ho uditi maledire lei per avergli tinto il pelo, con l’intento d’imbrogliarli. Sfiorando i loro sguardi, ho sentito una specie di scossa e, come da tanto non mi accadeva, mi sono scoperto vivo. Se soffro per un animale, mi sono detto, posso ancora amare. Comprarlo, dargli una seconda possibilità, mi aiuterà a compiere il primo passo verso la vera pace.”
Commosso da tanta franchezza, il primo impulso del mediatore fu quello di regalargli la bestia. Intuiva però che sarebbe stato un errore. Lo straniero aveva bisogno di compiere un gesto d’altruismo, non della sua commiserazione.
“Affare fatto” si limitò pertanto a dire, stringendogli la mano.
***
Il sole aveva quasi cancellato la sua ombra dal sentiero quando, dietro una curva, spuntò la sagoma scura della cascina. Usco ruminava un'insalata d'erbe spontanee lavata dalla rugiada e condita da una fresca arietta. Chinava il muso come per bere da una pozzanghera d'acqua, ignaro del fatto che, con quel semplice gesto, avrebbe fatto brillare nel cuore del mediatore una bomba d’emozioni.
"Muli e conducenti tutti presenti!"
Riconoscendo l'antico comando o, forse, avendo semplicemente fiutato nella presenza del mediatore l'assenza del padrone, l'animale rispose al saluto abbassando le orecchie. Nella stalla sul retro della casa, trovò il materiale necessario per spazzolarlo a dovere.
"Amico prezioso per gli alpini in guerra, anche in tempo di pace hai dovuto sopportare un'artiglieria di pesi e di memorie" gli bisbigliò, nella speranza di veder risorgere le sue orecchie.
Mentre lo governava, lo accarezzava con gli occhi umidi d'emozione.
"Giorgio ti ha voluto così bene da voler conoscere tutto di te, a partire dalle tue origini. Sei venuto alla luce in una ridente vallata montana, poco lontano da qui. Eri uno splendido esemplare, per questo sei stato arruolato. La tua stessa sorte è toccata a mio padre. Anche se non ho mai trovato il coraggio per parlargliene, lui aveva capito che, dietro il mio interesse per gli animali impiegati in guerra, si nascondeva qualcosa di più grande del semplice desiderio di guadagnare qualche spicciolo. Mio padre, durante la seconda guerra mondiale, fu un conducente di muli di prima classe. Dalle sue lunghe lettere, nonostante le frasi cancellate dalla censura, trasparivano l’orrore, la fatica, l’odore del sangue, le radure riarse dalle armi, i musat che avanzavano nel fango e nella neve, gli stessi uomini costretti come le bestie a guadare torrenti, attraversare passi e calpestare mulattiere e radure ghiacciate. Un giorno non abbiamo più ricevuto sue notizie. Solo a fine guerra, un suo compagno d’armi ci ha raccontato i suoi ultimi istanti. Ferito dallo scoppio di una granata durante la ritirata in Russia, si è aggrappato al suo mulo per continuare ad andare avanti. Per giorni si sono presi cura l'uno dell'altro, ma non ce l'hanno fatta. Da allora, ho vissuto inaridito dall’inquietudine. Poi siete arrivati tu e Giorgio. Tutti e tre reduci da un dolore, anche noi ci siamo aggrappati l’un l’altro fino a far sbocciare una preziosa gemma d’amicizia. Ora però siamo rimasti solo tu e io a portare il basto della memoria".
Non toccata dalle parole del mediatore, la luce, trattenuta dall'abbraccio delle montagne, si tingeva dell’allegro cinguettio dei passeri. Sotto il manto, la pelle di Usco era invece un sottobosco di vecchie ferite. Sebbene sullo zoccolo il numero di matricola si fosse cancellato da un pezzo, il povero mulo scalciava e indietreggiava quando la striglia, sfregando sui fianchi, lambiva le cicatrici, segno evidente che provava ancora dolore.
"Ho capito Usco, faccio piano" lo tranquillizzò il mediatore.
"Che te ne farai del musat, lo venderai?"
"Ciao Tony, non ti ho sentito arrivare. È tanto che sei qui?"
"Sono arrivato ora. Lo porterai al macello,vero? Sei stato davvero furbo a farti amico lo straniero."
"Non sono affari tuoi. Ora se non ti dispiace, ho mille cose da fare. Buona giornata" tagliò corto il mediatore, prima di aggrapparsi alla cavezza di Usco per lasciarsi guidare all’imbocco del bosco.
Solo quando i passi sprofondarono nella macchia, si concesse il lusso dell'ira. Gli scoppiava nel petto una bolla di rabbia dopo l'altra e ciò gli dava, per un attimo, l’impressione di alleggerirsi di una sofferenza diventata destino.
"Brutto ficcanaso" borbottava tra sé, guardandosi i piedi divorare tracce di sentieri tappezzati di muschio. Ma come già era successo mille volte a Giorgio nel farsi largo tra le gallerie dei rami, l’anima del bosco lo colse di sorpresa. Incastonata in un ricamo di costoni, protetta su tre lati da imponenti torri di rocce, addobbata a festa dai fiori di campo, dormiva come un paradiso la radura. Il luogo era così caro all’amico che, ai piedi dell’unico faggio, l’erba schiacciata ne portava ancora il calco del corpo. Pochi metri più in là, quasi acceso dal sole, il laghetto mandava bagliori verde-azzurri. Mentre Usco si concedeva un assaggio di boscaglia, il mediatore si accasciò a due passi dall’impronta dell’amico. Gli occhi chiusi lo trascinarono subito via, colpa di un pensiero che gli si era accoccolato di fianco e che ora gli mostrava suo padre, immerso nel fango fino alle ginocchia. L’immagine, la stessa che aveva visto zampillare un’infinità di volte sulle bocche dei veci, all’improvviso aveva assunto fattezze così familiari da restituirgli un senso di colpa. Da bambino, come tutti i suoi coetanei, aveva giocato alla guerra, quasi godendo dei brandelli di libertà dovuti all'assenza del padre e all'incapacità della madre di tenerne a freno l'esuberanza. Era cresciuto di colpo il giorno in cui il postino aveva smesso di portare notizie dal fronte. A fine guerra, uniche sue battaglie divennero la difesa degli animali impiegati in guerra e l'amore per la montagna. Grazie al suo mestiere, non gli era difficile acquistare i musat destinati al macello. Rivenderli non era facile, a volte doveva compiere piccole truffe per riuscirci. A fatica estrasse dalla tasca l’ultima lettera dell’amico.
"Carissimo Dino, la malattia che ha minato il mio fisico presto mi porterà via. Lascio a Usco tutti i miei averi, ma tuo sarà il compito di gestirli e portare avanti la baracca, so che lo farai nel migliore dei modi."
La prima volta che aveva scorso quelle poche righe, si era sentito così inadeguato da chiedersi cosa avrebbe dovuto farsene di una montagna di soldi e della cascina dove dormiva il vecchio mulo, lui che per intere settimane si allontanava dal paese e viaggiava in lungo e in largo per le vallate, spinto, più che dagli affari, da una irrequietezza senza fine. Ma come accadeva al cielo subito dopo un temporale, all’improvviso nella sua mente si materializzò un progetto che Giorgio sembrava aver intuito molto prima di lui, ossia la possibilità di creare una stalla per i veterani a quattro zampe congedati da mulattiere e basti. Avrebbe assicurato loro una greppia e un buon giaciglio e Usco avrebbe fatto gli onori di casa, insegnando ai pochi quadrupedi sopravvissuti a brucare qualche anno di libertà e a lui il modo migliore per diventare garante della loro quiete. Molti alpini sarebbero sicuramente venuti a trovarli e lui avrebbe fatto in modo che i bambini li incontrassero, affinché imparassero dai loro racconti l'importanza della pace. Come in segno d’approvazione, l’aria all’improvviso bevve il suono delle campane per poi riversarlo a passo d'eco tra le rocce, da millenni disposte a coppa per raccoglierlo. Il timbro era triste, eppure così pieno da farlo sentire parte di un disegno di Dio.
Si avvicinò al mulo e, accarezzandogli il muso, disse con dolcezza: "Usco 'ndemo. Grazie a Giorgio tu hai ritrovato la tua dignità e io uno scopo nella vita… tocca a noi ora consegnarlo all'abbraccio della terra, la sola che potrà liberarlo per sempre dal giogo del passato."
Proprio in quel momento, sopra la sua testa, il volo maestoso di un'aquila disegnò un'onda azzurra. Gli piacque pensare che fosse giunta fin lì per guidare l'amico in un mondo migliore. Aveva ancora gli occhi rivolti al cielo quando Usco, dopo aver annusato a lungo l'aria, prese a snodare un passo alla volta l'intricata trama del bosco, puntando le orecchie al suono insistente delle campane.
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